martedì 2 settembre 2014

SCHEGGE D'INFANZIA QUATTORDIESE



     

SCHEGGE D’INFANZIA QUATTORDIESE

willy





  Premessa



In un momento di nostalgia del passato, con un pizzico di poesia e di romanticismo, mi sono sentito di dover descrivere con parole semplici, un tracciato della mia infanzia trascorsa tra voi cari compaesani Quattordiesi, ricordando diversi spunti e aspetti della nostra acerba gioventù, raccontando alcune circostanze della nostra vita adolescenziale, con tanta verità, un po’di fantasia e di humour, confortato dai ricordi e testimonianze. 
Mi scuso anticipatamente, se per questioni di tempo e di spazio, ho trascurato alcuni di voi, cari amici.
Comunque, cari concittadini e cari lettori occasionali, nonostante tutto, non me ne vogliate!

                                     
                                        CAPITOLO  I°--Dove  sono  nato  e dove  vivo


Io, Antonio Colli Tibaldi nato il 6/11/1947 ad Alessandria e domiciliato a Quattordio fino al 27 Luglio del 1974 giorno felice del mio matrimonio, mi trasferii a Nizza 
Monferrato, bella e tranquilla cittadina di circa 10.000 anime, terra di vini e di cardi, il rosso Barbera  del Monferrato, il Cardo Gobbo, è un ortaggio che appartiene alla "famiglia delle composite" ed è ricco di sostanze nutrienti e salutiste ma poverissimo di calorie.

  MATRIMONIO  27 LUGLIO 1974--ore 15


CHIESETTA DEL BRICCO
il ricordo-"Del Bel Tempo che Fu"



 



















  










"La varietà che si coltiva è detta Spadone" per  la forma che presenta la
 foglia ed il fusto prende il nome di "Cardo gobbo" per la forma che assume a seguito della particolare lavorazione manuale. 


 Panoramica di "Nizza Monferrato"


 
BELECAUDA o FARINATA













La "Belecàuda" in dialetto locale, che vuol dire "farinata", fatta con farina di ceci, olio  d'oliva, acqua di fonte e teglia di rame stagnato, il tutto nel forno legna, sono i segreti di una ricetta antica. 

L'impareggiabile "Bagna Cauda", un tempo, i contadini la consumavano in un'unica terrina dalla quale tutti i membri della famiglia attingevano, spesso seduti intorno a una stufa, convivialità e compagnia, insomma, sono le due parole d'ordine per consumare questo piatto tipico del Piemonte, seguendo le antiche tradizioni; il "Tartufo", ed in fine, il "Bue Grasso," carne bovina della pregiata Razza Piemontese, molto rinomati nella Regione Piemonte e all’estero", questa è una carne dal limitato tenore di grasso che la rende unica, particolarmente tenera e magra ma gustosa con un basso tasso di colesterolo. 

Questi magnifici e gustosi prodotti della natura, vengono esposti e gustati nel primo "week end di Novembre alla "Fiera di San Carlo", infatti, tutti gli anni, Nizza Monferrato non tralascia mai di festeggiare il Santo Patrono.


TARTUFO BIANCO
W LA  BAGNA CAUDA


 

 
 



 Tipi di BARBERA
CARDO  GOBBO









 




Però, …c’è un però: col trascorrere degli anni, il caro foresto che sarei, avevo in mente il caro paesello Quattordio e guarda un pò, anche facendo visita a mia madre e alle mie sorelle nel recente passato, non mi sono più interessato della vita del paese natìo, anzi mi sembrava di guardare distrattamente una cartolina.

                                         CAPITOLO  II°--
     Descrizione  del luogo  natìo e  della   mia Famiglia                                                 

QUATTORDIO-- PADANA EST--ANNI 50'

Nonostante ciò, sarà la nostalgia, sarà la vecchiaia che incombe, vengono a galla i bei ricordi di fanciullo, di adolescente e di adulto, “del bel tempo che fu”, trascorsi in questo loco.

Da quel momento magico del rimembrare, nel ritornare al passato, con passo leggero e discreto, ho rivisto e  rivisitato con sporadiche capatine a piedi ed in automobile, le vie ed i luoghi frequentati da bambino, le vecchie dimore, dove una volta abitavo, le campagne e dintorni, luoghi vicini e lontani, mentre i ricordi affioravano prementi nella mia memoria, scorrevano come una pellicola di un film dolci vicissitudini. 

Rivedo i miei familiari, ricordo voi cari anziani Quattordiesi, che ormai non ci sono più. Ricordo i vostri nomi, i vostri volti, i vostri sorrisi, anche se talvolta erano turbati e corrucciati cari compaesani ed allora da quel momento mi sono sentito di descrivere le mie impressioni, rievocando un dolce passato di forti emozioni, tracciando  schegge di vita adolescenziale. 

La nostra famiglia arrivò nel 1945 a Quattordio su indicazione di una zia di mio padre di Alessandria, si chiamava Linda Colli Tibaldi, sposata al Conte Guido Asinari di S. Marzano di nobile stirpe.

Conte Guido Asinari di S. Marzano

Contessa Linda Colli Tibaldi


CAPITOLO  III°--Descrizione  di   personaggi  di  Pz. Olivazzi  

Il sottoscritto nel 1945 non era ancora nato e comunque cari lettori non disperate, perché io nacqui nel 1947  all’ospedale civile di Alessandria e di conseguenza giunsi in fasce in questo luogo. 

Fummo  aiutati dai vecchi Quattordiesi e ospitati provvisoriamente come prima abitazione in uno stanzone dalle Contesse Olivazzi Della Sala Spada, antica e nobile famiglia, possidenti terrieri e lontani parenti di mia madre, la nobildonna Onorina Valfrè di Bonzo figlia di Conti, nata e vissuta nei primi anni della sua gioventù in quel di Torino.


-Onorina Valfrè di Bonzo

PALAZZO   OLIVAZZI



PIAZZA. OLIVAZZI-Peso Pubblico-1953'

La nostra famiglia, oltre ai genitori, era composta da sei fratelli tra i quali: Guido, fratello maggiore, Beatrice,  sorella maggiore, Adolfina, Alberta, il sottoscritto Antonio e per ultima la sorellina Leopolda, nata nel 1948 e trascorso qualche mese ci trasferimmo in affitto in un’altra dimora, dirimpetto al palazzo Olivazzi, sempre di proprietà delle Contesse.

L’abitazione era poco confortevole, come lo descrisse mia sorella Alberta, ”Billi” per gli amici. La stanza da letto era composta da brandine con materassini stile militare e davanti alla porta della cucina le ortiche primeggiavano sull’entrata e quando pioveva il tetto era un colabrodo. 
L’acqua filtrava da alcuni pertugi, costringendoci a rimediare al disagio con bacinelle e ombrelli, il cortile era coperto da erbacce ed in più un bel cane bianco legato alla catena completava il  desolante panorama. 
Ogni qualvolta la sorella Billi passava accanto all’animale, lui, le zompava addosso mordendole le chiappe come ringraziamento e mio padre udendo le grida di Alberta, arrivava col mestolo in mano per ammonirlo.
 
2a Abitazione  Olivazzi


Sopra di noi, abitava il Sig. Mirone direttore di banca ed amico di mio padre, ormai scomparso nel 1977 a 64anni,  il nostro confinante era il Sig. Patrucco, primo gestore del “Bar Sport”, poi passato alla famiglia Demicheli Pierino con la moglie Emilia Devecchi e il figlio Carlino, brave e oneste persone,  lo gestirono per parecchi anni.


MIRONE Luigi

CARLO Demicheli



BAR SPORT-PIERINO-Piazza OLIVAZZI-ANNI 50'


PIERINO--EMILIA


Demicheli Pierino



Devecchi EMILIA
EMILIA  e ELSA  DEVECCHI




Nel frattempo mio padre Vittorio trovò lavoro tramite l’aiuto del bravo Dott. Palmieri Biagio nella nascente fabbrica di vernici "Inves" dell’ing. Pettazzi e idem per mio fratello Guido, che iniziò giovanissimo a lavorare nella ditta "Invex" dell’ing.Fracchia, dove producevano fili di rame smaltati.
 
Dott. Palmieri Biagio


-Vittorio Colli Tibaldi

 








Le mie sorelle, Beatrice, Adolfina, detta “Dolli” e Billi, ancora giovanissime, svolsero piccoli lavori per aiutare la famiglia raccogliendo e rullando foglie di tabacco per conto delle Olivazzi ed in più spigolavano spighe di grano che veniva macinato nel vecchio mulino del Sig. Dante Nano, ed era dislocato di fronte al Bar Sport  dove adesso c’è la farmacia.

 Fratello GUIDO



NANO Dante




 
vecchio mulino .-anni 30-50'-vista laterale
  



Farmacia anni 2000'-ha sostituito "il Vecchio Mulino"



Mia sorella Beatrice “Bea” per le amiche, fu assunta alla ditta "Cavis" di Felizzano, mentre Adolfina ed Alberta alla ditta Invex, lavorando per alcuni anni.

Il palazzo delle Contesse è molto antico, addirittura di origine seicentesca,  internamente è molto caratteristico.
Si entra da un grande portone  e si accede in un ampio atrio ornato ai lati da sedie e panche di legno ricavate da tronchi e rami d’albero, costruite a mano.
In un angolo c'era e c'è ancora un aggeggio a forma di grande imbuto che serviva come "cannone antigrandine"; ps: i cannoni antigrandine sono stati   inventati in Austria nel 1896, questi strumenti  nei decenni successivi si utilizzarono rapidamente nelle nostre campagne, specialmente nelle Langhe e anche in altre zone del Piemonte. 
Funzionano con due tipologie diverseil primo, frantuma il chicco di grandine mediante onde d'urto acustiche, mentre il secondo funzionamento spara in quota dei "fumi" di "ioduro d'argento" che dovrebbero favorire la condensazione diffusa di tante piccole gocce d'acqua e quindi impedire la formazione dei grossi chicchi di ghiaccio.

 Nei tempi andati, cioè ai tempi dei nostri nonni, nelle nostre campagne erano forti gli elementi di superstizione, tra cui le "masche" ovvero specie di spiriti o folletti maligni e in questo contesto, le grandinate erano viste come un "dispetto" del demonio e quando si avvicinavano i temporali, veniva scaraventata una grossa catena nel cortile per "legare lo spirito" che voleva far grandinare. 

L'attaccamento ai cannoni antigrandine è una sorta di tentativo a sparare, cacciare il "nemico invisibile e spaventoso" che vuole danneggiare i vigneti e in questo senso i fragorosi botti assumano anche un significato rituale.

 
Cannone Antigrandine-anni40-50' 

Uscendo dal porticato si entra in un vasto giardino ricco di siepi, alberi da frutta e piante ornamentali, con una grande vasca centrale, popolata da pesci rossi, mentre il gracìdìo di rane e ranocchie fanno coro ai visitatori.
 
porticato-Palazzo  Olivazzi

Il sentiero inghiaiato che serpeggia fra siepi ed aiuole, porta in fondo al giardino, finendo davanti ad una piccola grotta con nicchia dedicata alla Madonna, mentre la cappella di famiglia è alloggiata presso l’ingresso.
Al centro del giardino c’è un antico pozzo con scalinata che comunica con un tunnel ubicato sotto la piazza, un vecchio passaggio segreto murato da tempo.

 Non ho mai visitato i loro alloggiamenti che per sentito dire sono ricchi di stanze e saloni arredati di mobili pregiati, quadri e vari oggetti di valore di antica data e questo episodio che ogni tanto ricordo avvenne quando le Contesse c’invitavano lungo la settimana a prendere il tè con biscotti nel pomeriggio con mia madre e qualche amica.

 madre-io e Polda-in giardino 

La famiglia Olivazzi era composta da sole donne: la più anziana si chiamava Lina, la sorella Camilla, “mamma di Maria Cristina, Cesarina e Tella”, l’uomo di famiglia si chiamava Gennaro, marito di Camilla, scomparso ormai da tempo.

Camilla  Olivazzi

Cristina Olivazzi


Tella Olivazzi

Come vicini di casa, c’erano i componenti della famiglia Venezia Michele detto, “Chelu”agricoltori, mentre il fratello Rag.Venezia Antonio era 
contitolare della ditta Invex tutt’ora i figli e nipoti ne rappresentano la continuità
Michele VENEZI






Il fattore delle contesse, era Zallio Pietro “Pidrin” e la moglie Cattaneo Antonietta “Tognina”, cara donna, brava e generosa, gran lavoratrice, con i figli Mariuccia, Stefano, che perì tragicamente in montagna  " il 3-Agosto del 1954'" a soli 10 anni” e Giuseppe “Pino”, il più giovane e mio amico d’infanzia.




Stefano ZALLIO



Stefano-Mariuccia-Pino


Cattaneo Antonietta-Zallio Pietro















Per arrivare all’abitazione della famiglia Zallio, si entrava da un  vecchio portone in legno da via Mazzini, strada statale, affacciandosi a un grande porticato, oppure si transitava dalla parte opposta della piazza Olivazzi, cioè, verso la campagna, da una stradina sterrata che si collegava con un ampio cortile dove risiedevano varie famiglie di salariati', tra le quali la fam.Vigato .


abitazione "fattori "Zallio -anni50'



Portone di Entrata











In vari punti dell’aia, erano disposte diverse macchine agricole: trattori, erpici, tagliaerba, fresatrici, aratri, imballatrici, carri, rimorchi, stendi fieno e svariati attrezzi di campagna, spiccavano, zappe, badili, carriole  lasciate agli angoli delle case alla rinfusa, appoggiati alla catasta di legna c'erano una vanga e un rastrello, i manici accostati come sposi in Chiesa. 



ATTREZZI  AGRICOLI

Le galline razzolavano liberamente quà e là, ogni tanto un coniglio saltellava nascondendosi in un pertugio, alcune anatre starnazzavano beatamente negli acquitrini  provocati da recenti acquazzoni, mentre alcune oche bianche dominavano il loro territorio camminando in fila indiana col lungo collo bianco, alcuni maiali grufolavano  gironzolando fra le pozzanghere in cerca di cibo, ogni tanto qualche muggito e nitrito provenienti dalle stalle occupate da mucche, buoi e cavalli echeggiavano nell’aria, mentre i fienili e i pagliai s’affacciavano sopra le stalle come sfingi, completando il corollario panoramico della vita agreste che si svolgeva in quel periodo di circa 50 anni fa.

ANIMALI  DA  CORTILE


CASCINA  CON  GRANAI  E  FIENILI


Ero amico di Giuseppe Zallio detto "pino" dagli amici e da adolescenti leggevamo vari fumetti e giornalini acquistati dal cartolaio di Felizzano, l'unico venditore in zona ed erano molto in voga: Capitan Miki, Grande Black, Tex Willer, Topolino, Superbone, Tarzan, l'Intrepido, il Corriere dei Piccoli, Nembo Kid e per ultimo Diabolik e li acquistava quasi sempre lui perchè aveva più soldi e qualche volta all'insaputa della mamma "Tognina" li arraffava dal suo borsellino! 


CAPITAN MIKI

 

GRANDE  BLACK-ANNI50'









TEX  WILLER -ANNI 50
'
TOPOLINO-ANNI50
'

Intrepido-anni50'
TARZAN ANNI50'


DIABOLIK-ANNI50'


Il Bar Sport di Pierino è stato per noi ragazzini una seconda casa e nel periodo delle vacanze scolastiche rimanevamo lì dal mattino alla sera giocando a ping-pong, al calciobalilla, a carte, a dama con gli amici all’ombra di un bel pergolato detto “topià” in dialetto, gustandoci il gelato e bevendo gazzosa.


ENTRATA  AL  PAESE


ENTRATA al PAESE-Statale (AL)-a dx Vecchio Mulino-anni60'



ENTRATA al PAESE e svincolo a dx per Fraz. PIEPASSO-anni50'


CAMPO di GRANO OLIVAZZI-PADANA  ESTper AL-ANNI 50'

In Agosto, durante le ferie, nelle serate estive guardavamo con curiosità transitare la lunga teoria di automobili provenienti da Torino e comuni limitrofi dei  “lavoratori Fiat”, che si dirigevano verso il mare e nei paesi d’origine per trascorrere e godersi le agognate vacanze, l’autostrada "Asti-Mare" negli anni sessanta non esisteva ancora. 

Nel periodo della caccia, il "Bar Sport" era il ritrovo di molti cacciatori forestieri, più Genovesi che Piemontesi, i quali si dilettavano a cacciare dalle nostre parti e al mattino presto della domenica si udiva un tuonar di “ferree canne” o fucili, nella campagna in lontananza. 
Nel pomeriggio i cacciatori sostavano stanchi ma forniti di lepri, fagiani e pernici abbattuti con le loro doppiette a pranzare contenti all’ombra della pergola, con i bei cani da caccia accucciati ai loro piedi, anche loro esausti e affamati, spazzolavano con merito il  pasto in grandi ciotole. 

Piazza Olivazzi, con la sua fontana rotonda in pietra e non funzionante, era per noi fanciulli un punto di riferimento, specialmente quando si svolgeva la festa patronale “di S. Pietro e Paolo” alla fine di Giugno, con tanto di bancarelle, ballo a palchetto e la giostra  “calci in culo” con fiocchetto e per chi lo acchiappava, il giro successivo era gratis.
Piazza OLIVAZZI con FONTANA a sx-ANNI 50'


pista da ballo a palchetto in fase di montaggio



BALLO  a  PALCHETTO -anni50'


PISTA  da  BALLO


GIOSTRA  "CALCINCULO"

Il programma dei divertimenti fu il solito degli scorsi anni: ballo, gare a bocce e bigliardo, a carte e sono tre giorni che servono per richiamare le famiglie che solitamente vivono in città o altrove per lavoro, inoltre si riversavano in paese numerosi forestieri attratti dalla festa, dal bel tempo, favorendo un grande afflusso di gente. 
Sulle bancherelle c’erano stringhe alla liquirizia, torroni e dolciumi di cui ne ero ghiotto, tra i giocattoli, stravedevo per le pistole ad acqua e quelle con cartucce a nastro che sparavano a salve, qualche girandola da piazzare sul manubrio della bicicletta e castagnette o miccette esplosive da lanciare fra le gambe delle ragazze danzanti sulla pista da ballo che esplodevano se calpestate o buttate a terra con forza, le quali, tra strilli e urla di paura, di gioia e arrabbiature, saltellavano quà e là a più non posso con qualche bruciatura sulle calze di nylon e sulle caviglie.

 castagnette esplosive
 
Nel pigia pigia del ballo, intravedevi le mamme e le nonne avvolti in ampi scialli o pullover, sedute o in piedi ai tavoli nei pressi dell'orchestra o banda musicale delle serata, intente a controllare tutto quel movimento, a sbirciare ora da una parte ora dall'altra, a confabulare chissà cosa, senza perdere d'occhio neanche per un istante le loro figliole che sulla pista volteggiavano avvinte dai cavalieri e a notte alta, quando tutto era finito e l'atmosfera effervescente si era smorzata, la gente a crocchi si avviava verso casa.

Inoltre, c'era il banco del "tirasegno", che sparando con una carabina a pallini, dovevi dimostrare la tua bravura centrando dei cartoncini a punti, oppure, centrando un chiodo a testa piatta, ti scattava la fotografia dello sparatore, infatti, ecco due foto, dove sono ritratto sul momento, in compagnia di cari amici, Teresio Barberis (cile) e Bruno Morandi, inoltre, (Fiorito-Cassinelli e Damasio Domenico). 


FIORITO-CASSINELLI-DAMASIO-Willy a sx


TERESIO (cile) e Willy al tirasegno




Bruno e Williy al tirasegno


Quest'anno c'era anche la festa delle "zucchine o sìcòt" in dialetto quattordiese una nostra specialità e della "pignatta", (pentole di terracotta appese a un filo) e ogni concorrente "bendato" doveva romperle con un nodoso bastone per appropriarsi dei regali inseriti! 


 vecchio campo sportivo-giugno76'(sono quello con gli occhiali)








-commensali quattordiesi


Zucchine (sicòt) 



Festa Patronale "S. PIETRO e PAOLO



Bancarelle-FESTA  DEL  PAESE

  CAPITOLO  IV°--Descrizione delle vie del  paese  con  i  relativi  personaggi--Via Montebello--Via Roma--Via  Mazzini

Terminata la festa del paese  con nostro grande dispiacere, aspettavamo con ansia lo smantellamento del pavimento di legno del palchetto per cercare qualche soldino rimasto a terra, caduto da chissà quale tasca finendo tra le fessure dell’assito.

 Uscendo da piazza Olivazzi e attraversando la strada statale si entra in via Roma che è costellata da edifici e da file di case, tra i quali: il bel palazzo signorile della famiglia
 Cotti, la ex falegnameria Damasio ora condominio, l’ex Municipio e l'ufficio Postale, ora sede bancaria e poi la Chiesa di S. Pietro. 

PALAZZO COTTI  A  DX--VIA  ROMA

Accanto al "palazzo Cotti", confina il caseggiato della famiglia Toselli Teresio, di fronte risiede la famiglia Barberis Giuseppe detto “Pìpìn-Managiu” ormai defunto dal 1960 e i figli Aldo e Mario possidenti terrieri, i quali avevano la bottega ubicata in via Mazzini strada statale, molto scomoda e pericolosa per noi clienti per via del solito tran tran di vetture.

VIA  MAZZINI

Da fanciullo, acquistavo i cioccolatini con sopra incollate le figurine della Ferrero delle varie fasi "dell’epopea garibaldina", con le quali, riempivo con soddisfazione l’album, mentre i doppioni e triploni che mi rimanevano, li scambiavo con quelli degli amici per poter completare la collezione. 

Epopea  Garibaldina

Il negozio di “Pìpìn Managiu”, sulla parte superiore aveva un balconcino situato in una posizione infelice, perché molto esposto sulla curvatura della statale e così la struttura veniva falciata o slabbrata da qualche grosso camion dalle misure altimetriche non consone, che passava da quelle parti e purtroppo al sig. Giuseppe, gli rimaneva solo intatta la finestra della stanza. 

Il figlio Aldo, era un uomo simpatico e divertente,
specialmente per la sua andatura alla “Charlot” per via dei suoi piedi piatti e ogni qualvolta transitava col suo trattore per andare in campagna a lavorare le sue terre in compagnia della moglie Mariuccia detta “Iucci”, la quale era seduta sul trattore accanto al marito, le buche nella strada erano tutte le sue e mentre il mezzo saltellava, la moglie gli urlava in dialetto, Aldo, “và piàn, và piàn”!

ALDO con il suo trattore



ALDO  BARBERIS














Accanto ai sig. Barberis, abitava il sig. Robotti Giovanni, ormai scomparso nel
 1991' a 86annie e la fam. Fracchia Remigio con la consorte Lovisolo Letizia, anche lui deceduto nel 1990' a 75anni, ( sposati nel 1944').

Giovanni  Robotti

Remigio Fracchia

Letizia Lovisolo

SPOSI -  1944'

Brave persone, simpatiche, sorridenti, papà e mamma di Giuseppe, il figlio più grande e il fratello Elio, accanito tifoso interista e buon calciatore, “alla Bicicli”, famoso calciatore dell’Inter, mio compagno di leva, (eccoli felici nel giorno del loro matrimonio avvenuto nel 1944'),... e mi ricordo che sua mamma ogni tanto mi allungava una fetta
 di torta fatta con le sue mani, che bontà!
GIUSEPPE


ELIO   










Per entrare a casa sua, si passava da un vecchio portone attraversando un portico dal pavimento sterrato e nel frattempo, ecco sbucare all’improvviso la cagnetta “Lila”, chiamata “Lùsci” da Elio, di razza meticcia, di colore nero con striature marroncine, molto sveglia e guardinga: abbaiava a più non posso e guarda caso, mi saltellava addosso all’altezza delle mie chiappe, azzannandole,...era proprio un cane da guardia! 

La famiglia Monti, anche loro possidenti terrieri, vendevano latte di produzione
 propria e da bambino lo compravo in bottiglia di vetro da un litro da Ermelinda Linda”, l’anziana madre di “Margherita la Maestra”, pagando circa lire 100 e alla sera si cenava solo con latte e pane per risparmiare.

ERMELINDA  MONTI

Avevano fattori e salariati, tra i quali, Bernardinello Santo detto “Scannato”, la famiglia Frezzato e un certo Donato Antonio, ma lo ricordo in quinta elementare, un bravo figliolo, purtroppo la sua vita fu breve, morì a 12 anni nel 1958 di menengite, era di origine veneta, mentre  la famiglia Maccarone Corradino proveniva dal meridione.

GUIDO  FREZZATO
Bernardinello Sante



FIORITO
Corradino Maccarone

DONATO


Ho stretto amicizia con i rispettivi figli, tra i quali Fiorito, “Papes” per gli amici e suo
fratello Bernardo, chiamato “Sergio”, scomparso nel 1990 all’età di anni 41 in un tragico incidente stradale, Vittorio Maccarone detto “Cico”, fu un valido calciatore, prodigandosi in varie partite nel ruolo difensivo. 

Vittorio Maccarone

SERGIO Frezzato















Via Roma si biforca ad un certo punto, con via Montebello che s’incunea sempre più stretta tra una fila di case e un gruppo di abitazioni sulla parte alta dove inizia a serpeggiare la strada.

Via Montebello

Inoltrandomi in questa scorciatoia che sbuca in prossimità del centro del paese, rivedo l’abitazione della famiglia Gagliardi Dalmazio detto “Gàiard”, papà della figlia “Iris”, mia coetanea e compagna di leva.
Il padre, era un uomo dalla voce tonante e strillava le sue invettive contro il malgoverno e le tasse, parlava sempre di politica al bar e in strada, fermando le prime persone che incontrava per discuterne,  è scomparso nel 2002 all'età di 87anni.
  
Iris Gagliardi


Dalmazzo Gagliardi









Più avanti il caro ciabattino, in dialetto (savàtin) Carlo Decarolis “Cavaliere di Vittorio Veneto”, dal viso bonario, uomo simpatico e sornione, il quale, per bontà di cuore ci risuolava le scarpe gratis e per entrare nella sua bottega si salivano tre gradini, l’abitazione era sul retro ed era sempre in canottiera di colore bianca al bar sport quando giocava a carte, sul lavoro aveva sempre caldo ed era sempre sudato.

Decarolis Carlo

Iris, trascorse i primi anni d’infanzia a Quattordio, in seguito si trasferì ad Asti dove tutt’ora abita ed è sempre stata legata al nostro paese, sovente  veniva a far visita al suo carissimo e amato nonno, io personalmente la rividi alla prima festa della nostra Leva, sempre sorridente, carina e molto elegante. 

Qualche metro più in là, dimorava la famiglia Cresta, il figlio Giacomo perì 
tragicamente nel 1967 in un incidente stradale all’età di 30 anni con altri due amici,  Viotti Giovanni all'età di 39anni e Codrino Mauro all'età di 24anni.
Codrino  Mauro

Cresta Giacomo
Giovanni Viotti

La fam. Toselli Francesco, detto “Cichinotu” e la moglie Degiorgis Cecilia, mamma di Enrico e Rosa, aveva un grande gozzo alla gola e in seguito all’operazione subita non sopravvisse, morì nel 1960 a 56anni, lasciando nello sconforto i  familiari e noi Quattordiesi, mentre il marito scomparve nel 1971' a 74anni.

Franco Toselli


Cecilia Degiorgis





Enrico Toselli

Rosa Toselli









Sopra di loro abitava la sarta Lucia, detta “Luscìn la merlin-nà," ormai scomparsa da tempo, era zitella, zoppa, gentile, educata, molto brava e capace nel suo lavoro. 

Dopo l’abitazione di Toselli, c’era l’ambulatorio del Dott. Ugo Garberi medico condotto, dalle mille virtù, un bravo e grande dottor che con volontà, passione, energia abnegazione, fin dagli inizi degli anni 1950, ha percorso a piedi e con la lambretta dotata di copertura telata e plastificata sul posto di guida per far fronte alle intemperie e in automobile,...ps: la (Lambretta è nata in Italia nel 1947 su progetto di Ferdinando Innocenti a Milano, presso gli stabilimenti di sua proprietà, appunto la "Innocenti" nel quartiere "Lambrate",il nome "Lambretta" deriva dal "fiume Lambro" che scorre nella zona in cui sorgeva la fabbrica!) per le vie e le stradine del nostro paese, entrando in tutte le nostre case, prendendosi cura dei nostri malanni, portando sollievo e rimedio con l’esercizio dell’arte medica, gli ammalati.

UGO  GARBERIS
Parabrezza

 
LAMBRETTA  ANNI 50'

Di fronte all’ambulatorio abitava la famiglia Stradella. 
La moglie, Chiambalero Petronilla “Nina”, madre di Franco, attualmente onorevole e Piero, fratello minoreera una figura esile, alta, snella, sempre vestita di nero, con capacità infermieristica, infatti era richiesta da molte persone bisognose di iniezioni e altre cure, scomparve nel 1990 a 82 anni.

Chiambalero Petronilla
Piero STRADELLA
Franco STRADELLA













Accanto all'ambulatorio, dominava un vecchio palazzo, il "palazzo Mo", sostituito più avanti da una moderna palazzina, dove viveva la sig.ra Scarsi, molto amica di mia madre, anziana, non bella, molto magra e un po’ ingobbita, suo marito era un 
capitano dell'esercito.


Palazzo "MO" anni 50'


PALAZZO  MO--ANNI 2000'



In via Montebello, il “Forno Comunale” gestito da Rita Meda col fratello Angelo, era il luogo dove le donne del paese e anche le mie sorelle facevano cuocere torte e biscotti, preparati in precedenza da casa.

FORNO  COMUNALE

Adiacente al forno comunale, c’era la drogheria gestita da Rita Cristina, scomparsa
 nel 2000' all'età di anni90, moglie di Giovanni Gho, figlio di Pippo, ”l’ammazza maiali”, vendevano dei buoni salumi e la marmellata di fichi sfusa,  era veramente squisita. 
Qualche volta noi ragazzini, eravamo oggetto di scherzi da parte degli adulti e un giorno qualcuno mi disse: Antonio, “willy” per gli amici, vai in quella bottega dove c’è la buona marmellata e ti fai dare 10 lire “d’mur pist” e se non c’è l’ha “t’là fai pistè” detto in dialetto Quattordiese e ripensandoci mi vien da ridere!

Rita Cristina Masenga

GIOVANNI  GHO












Avvicinandomi all’officina dell’anziano fabbro Cavallero Luigino, scomparso nel 1967 all'età di 79anni, nella sua fucina vecchi arnesi da lavoro erano appesi alle pareti annerite dal fumo provocato dal mantice per attizzare i carboni ardenti, per forgiare ferri da modellare sull’incudine a colpi di martello.

officina del fabbro-anni50'


Luigino Cavallero-









Tornando in via Roma che è una delle strade principali del paese, oltre alla famiglia 
Monti, abitava Toselli Giovanni “L'Assicuratore”. Il figlio Maurizio Benito, purtroppo era un handicappato mentale fin dalla nascita,  erano soprannominati “camion e rimorchio” dai vecchi Quattordiesi e quel pover’uomo del padre, gestiva il figlio come poteva portandoselo sempre appresso, in vespa, a piedi, al bar sport a prender il caffè ed in altri luoghi, dandogli delle gran gomitate ai fianchi per farlo stare bravo, mentre la figlia Evelina era una donna intelligente e diplomata maestra, ultimamente era inferma, è deceduta nel 2013' all'età di 83anni, il padre scomparve nel  1981 a 87anni, mentre il figlio morì nel 1997 a 71anni.
Giovanni TOSELLI-

Maurizio Toselli
Evelina Toselli

Vicino a loro, abitava Clemente Venezia “il Sacrestano”, un sant’uomo, egli era il braccio destro di don Carlo Teodo, suo aiutante nelle funzioni religiose e dopo la scomparsa del nostro caro parroco, il sig. Clemente in un momento di depressione e di sconforto, per un fatidico destino, annegò in un pozzo di campagna nei pressi del rio Gaminella nel 1961 e quando lo recuperarono con la corda legata alle ascelle dai soccorritori, sembrava un “Cristo in croce con le braccia allargate”, io fui testimone e avevo 13 anni, per noi Quattordiesi la scomparsa del nostro caro sacrestano fu di grande dolore e dispiacere.
Clemente Venezia

 Salendo via Roma, dopo la dimora dei Toselli, c’era la falegnameria del vecchio Damasio Domenico, detto "menichen", fabbro, carradore falegname, nonno del mio amico Domenico, ed io, qualche volta entravo nell’officina piena di tavole ed arnesi da lavoro a cercare in mezzo ai trucioli, piccole ruotine di legno per costruire carrettini, mentre nell’aria si sentiva un buon odore di legno lavorato.


Via ROMA

Damasio Domenico "menichen"

falegnameria Damasio D-anni50'

Fuori dal laboratorio, una panca di pietra risaltava contro il murodove il nonno si sedeva per “riposar e rimirar” lo sguardo verso l’alto, intravedendo la Chiesa Parrocchiale di S. Pietro, fumando con serena tranquillità il suo toscano, scomparve nel 1964 a 89anni.



                                     CAPITOLO-V°  

Descrizione della Chiesa S. Pietro e le sue funzioni religiose e dei relativi parrocchiani

 


Chiesa S.Pietro-vista frontale


Chiesa S.Pietro-vista angolare

 via Roma nel 60'-il campanile della chiesa è da ultimare-a sx il vecchio palazzo
 
Accanto alla falegnameria primeggiava l’edificio "Comunale e l'Ufficio Postale," ora c’è una Banca.

MUNICIPIO  a dx  Falegnameria DAMASIO-anni40-50'
Piazza.  S.PIETRO -MUNICIPIO  ristrutturato anni60-70'


BANCA


           CAPITOLO  VI°--descrizione dei parroci--le processioni  e                                       funzioni  parrocchiali


La Chiesa di S.Pietro era gestita da don Carlo Teodo, arrivato nel 1948 da Castelnuovo Calcea, sopranominato dai parrocchiani don “plàtìn”, non aveva nessun capello e peli sul corpo, forse dovuta a qualche malattia fin da bambino.

Don Carlo Teodo

Il nostro amato prevosto era un uomo molto attivo, dinamico, disponibile, pronto alla bisogna e come mezzo di trasporto utilizzava il suo famoso “Galletto", motocicletta di color giallo".
Quando officiava le funzioni religiose importanti, lo affiancava il collega della fraz. Piepasso don Baldi Alessandro con gli occhiali, il povero prete, quando parlava non si capiva, ..si mangiava le parole.

 Veniva spesso in paese per commissioni, prestava il suo aiuto silenzioso per il primo venerdì del mese e per le sepolture con il suo stile modesto e schivo, alieno da esibizioni, ma fatto di franchezza e di praticità, morì il 6 Agosto  del 1970 in quel di Costigliole, suo paese natio. 

Don A. Baldi

Don Teodo fu grato alle autorità Quattordiesi, quando gli regalarono un nuovo abito talare, perché, quello che indossava abitualmente era liso e consunto ed era l’unico capo che utilizzava da anni. 

La “perpetua Angiolina”, gli accudiva la canonica in compagnia di un “bel gattone dal pelo rosso d’angora” e alla festa dei Santi, il 1° Novembre, veniva considerato anche "festa dei morti", ci si recava tutti al camposanto per la benedizione che veniva impartita ai defunti, era una ricorrenza molto sentita e significativa e tutti quelli che se n'erano andati dal paese o per un motivo o per un'altro, in quel giorno di ricordi, tornavano e il caro don Carlo, invitava noi chierichetti nella sua casa a pranzare, offrendoci pollo o gallina bollita con i  ceci!


Don TEODO-Benedice la Posa della Prima  Pietra INVEX-1948'


Interno Chiesa S. Pietro - 18 Maggio 1924'


La Chiesa, il 3Aprile lunedì di Pasqua del 1953' fu  teatro di un grande avvenimento, la celebrazione del matrimonio fra il Dott. Giuseppe Codrino, ”Pino”, titolare della futura ditta Cavis di Felizzano e la consorte Fracchia Teresa, “Pucci”, figlia dell’Ing. Fracchia Giuseppe, titolare di alcune ditte Quattordiesi.

 Fu un evento straordinario, anzi spettacolare; l’interno della Chiesa era addobbata con siepi di mille e mille fiori, centinaia di garofani bianchi e durante la funzione, il suono maestoso dell’organo gestito da Don G. Perosino, prevosto di Annone che accompagnava la limpida voce tenorile di Don G. Audenino, parroco dei Valenzani che eseguiva mottetti liturgici risuonava  nell’aria, mentre un aereo sorvolava il paese lanciando biglietti d’auguri e scattando foto, tra le quali è rimasta immortalata l’immagine primaria della Chiesa, del piazzale e dintorni sul bollettino parrocchiale. 




Chiesa addobbata 
Codrino G-Fracchia Teresa

















Chiesa S. Pietro e dintorni visti dall'alto

I confetti lanciati dagli sposi sul pubblico, causavano zuffe fra noi bambini per acchiapparli, mentre gli adulti li captavano con ombrelli girati al contrario, riuscendo con poca fatica e astuzia a raggranellarne un buon numero. 

Nel 1957 nel giorno di S. Pietro fu festa non solo perchè titolare e patronale della nostra Parrocchia, ma pure per la grandiosa cerimonia nuziale che unì e consacrò il matrimonio di Pettazzi Adele con il dott. Casalegno Umberto, industriale di Torino.


gli sposi Adele Pettazzi e Casalegno Umberto-1957




Nel 1959  avvenne un'altra cerimonia nuziale nella Chiesa di S. Pietro gli sposi erano: Fracchia Adele e Uslenghi Arnaldo era il 16 Novembre.


gli sposi Fracchia Adele e Uslenghi Arnaldo-1959

Un brutto giorno, il destino volle che il nostro parroco don Carlo Teodo incappasse in un grave incidente mortale a 42anni col suo Galletto giallo, presso una curva sulla strada verso fraz. Serra, era il 1960.

moto Guzzi-"galletto" 

 Di fronte alla Chiesa, dominava il piazzale erboso, cintato da un muretto e sormontato da una robusta ringhiera di ferro, ora è acciottolato con un bel pino al centro e quattro panchine in pietra e con un’ampia scalinata per entrare.


piazzale Chiesa S.Pietro-anni'2000

Un certo “Curnetta”, detto “ù-cìt”, così nominato e di cognome Accornero, era pìù grande di me come età, ma non come statura, risiedeva in una casa di campagna dopo il Camposanto verso fraz. Serra; gareggiavamo a saltare pvolte dal muretto su un cumulo di sabbia da un’altezza di circa 3mt, sfidando la paura e la nostra ernia rimasta per fortuna al suo posto, il rischio c’era...col senno di poi e sul piazzale giocavamo a bandiera genovese, a pallamano con altri compagni e salto alla cavallina.

Accornero

salto alla cavallina




















A 7anni ero già chierichetto, istigato dal fanatismo religioso di mia madre la quale era contenta se mi fossi fatto prete, perché lei nella sua famiglia aveva un fratello Frate Francescano di nome Teodoro, missionario in Cina negli anni 50.


zio TEODORO nipote del Cardinale



zio Cardinale-TEODORO

 
frate Teodoro-1° a sx 2a fila in piedi-anni40


. Nel 1955' venne a Quattordio a trovare mia mamma e fu ospite nel palazzo delle contesse Olivazzi e celebrò messa nella loro cappella privata ed io nipote, lo servii, (morì nel 1956'), inoltre, aveva uno zio Cardinale di nome 
pure lui "Teodoro" perciò un mio prozio, prossimo al Conclave.

 
zio frate nel giardino Olivazzi

Mi alzavo alle 5 del mattino per servire messa alle 6, che sonno, che fatica, però alla fin fine ero contento e felice nel cuore. 

Suonavo le cinque campane, dalla più grande alla più piccola tirando ritmicamente le corde a secondo delle funzioni: dalla S. Messa domenicale al Vespro pomeridiano, dal
 matrimonio al funerale e così via, noi chierichetti gareggiavamo a chi saliva più in alto aggrappandoci alle corde senza però capocciare contro il soffitto. 

campanile con le" 5 campane"

A proposito di campane, rovistando vecchi bollettini parrocchiali, ho letto e non tutti sanno che: la campana più grande, la nota musicale è in "SOL" naturale ed è posta sul lato Sud e misura 95cm di diam e pesa circa-5q.li, è la voce più grave e autorevole come quella della madre di famiglia, che festeggia i battesimi, annuncia i trapassi e sottolinea con puntualità gli avvenimenti fondamentali della nostra vita religiosa e civile. 
 
La 2a, sul lato Nord, in  "LA" naturale, misura 84cm di diam. e pesa circa 3,5q.li, ed è rivolta verso il luogo dove sorgeva la vecchia Chiesa confraternita di S. Sebastiano, “sul Piantato”, ormai abbattuta da tempo, ora nuova casa parrocchiale;
 
la 3a, in "SI" naturale, sul lato Ovest, misura 75cm di diam., pesa circa 2,5q.li, è la campana dell’Ave Maria  ed abitualmente suonava all’alba e al tramonto;

 la 4a, in "DO" naturale, sul lato Est, misura circa 70,5cm di diam. e pesa 2q.li; la più piccola, sempre sul lato Est, in compagnia della precedente è in "RE" naturale, misura 63cm di diam, pesa 1,4q.li. è la campana così detta dell’Asilo,  perchè suonava una volta a chiamare i bambini che partecipavano alle sepolture. 

Ora, tutto ciò è stato elettrificato nel 1985, le campane non si suonano più tirando le corde, non c’è più poesia ne sentimento, il sistema campanario s’è modernizzato ed il suono delle campane non diffonde più suoni come fossero parole ma solo freddi e muti rintocchi. 

Ho partecipato a tutte le funzioni religiose nel paese: dalle “processioni di Maggio”, mese di Maria e delle rose, il fiore che più di un’altro ne rappresenta la semplicità e la bellezza, trasportando a spalla la statua della Madonna, mentre le finestre occhieggiavano lunghe le vie,  erano addobbate a festa con tappeti e velluti di colore bordeaux, punteggiati da lumini accesi e petali di rose cosparsi come coriandoli lungo le strade del paese, alla “Via Crucis”, liturgia della Passione e adorazione della Croce, prima della S. Pasqua.


Processione di Maggio con trasporto a spalla della MADONNA


Processione Mariano di Maggio

 
 
Le “Rogazioni di primavera”,  si svolgevano tra Aprile e Maggio per benedire la campagna, propiziando pioggia e di conseguenza un buon raccolto, domanda di vocazioni e perdono dei nostri peccati, interessando tutti da vicino sia uomini, donne e bambini.

ROGAZIONI  Propiziatorie-anni50'
 
Al mattino, c’incamminavamo in gruppo col parroco in testa e noi chierichetti verso fraz. Serra, la giornata era bella, splendente, la primavera brillava nell’aria fresca e frizzantina, il cielo era limpido, il sole era già alto, mentre tra le spighe di grano ondeggianti al respiro del vento, s’intravedevano  rossi papaveri e  azzurri fiordalisi, che facevano capolino, come se richiamassero la nostra attenzione, mentre le rondini garrivano libere nel cielo azzurro, volteggiando verso l’orizzonte e in quel momento mi sentivo felice, contento come non mai, poi, alle 8,30 si entrava nella scuola elementare con mia grande tristezza.


ROGAZIONI  ANNI 50


campo di grano con papaveri e fiordalisi

A giugno si celebrava il “Corpus Domini”, portando per le vie del paese il “Baldacchino”, sorretto da quattro volenterosi, mentre il prete fra le mani teneva stretto l’Ostensorio, seguendo il rito del Sacramento dell’Eucarestia., fermandosi davanti a due altarini già  predisposti  di fronte alle nicchie o cappelle votive, una presso la casa di Toselli Teresio e l’altra davanti alla casa dell’ing. Pettazzi.
                                                                       

Cappella Votiva
Processione "del Corpus Domini"
 

Processione del "CORPUS DOMINI"

Ho seguito funerali, benedizioni, vespri, rosari, le S. Messe Pasquali e Natalizie e chi suonava l’organo dal suono profondo e maestoso ai matrimoni in pompa magna e alle feste religiose importanti?,..era Peppino Cavallero, figlio di Maria Bernasconi  amica di mia madre vissuta per lungo tempo a Quattordio, è scomparsa nel 1999 all’età di 92 anni a Como.

Peppino Cavallero

 All’approssimarsi della festività Natalizia, si utilizzava uno strumento chiamato in dialetto “la Bùndèta”, lo suonava Matteo Codrino e Carlino Venezia il marito dell’Egidia Bona, battendo con i pugni guantati la tastiera di legno composta da cinque note musicali.


Carlo Venezia-E. Bona

tasti, collegati  tramite catene ai battacchi, li muovevano ritmicamente facendoli battere contro le campane ferme, le quali sprigionavano un suono dolce e festoso che si propagava nell’aria e per tutto il paese, come se chiamassero a raccolta la gente per gioire insieme alla festa natalizia incombente. 

Lo strumento era situato nella cella campanaria in cima al campanile alto circa 30mt e si raggiungeva con un certo timore, tra un zigzagare di scalette di legno non tante rassicuranti e dai gradini scricchiolanti.

 La cella campanaria era esposta ai quattro venti e a quell’altezza soffiava un’aria gelida ed incessante e bisognava di conseguenza per chi suonava la "Bùndèta", essere ben coperti, era Dicembre e inoltre la si   utilizzava anche  per le festività Pasquali e le più importanti dell’anno suonando mezz’ora prima della S. Messa delle ore 11

Parlando del nostro ardito campanile, non tutti sanno che: è alto 35mt alla base della croce compreso la cuspide, ritoccato in altezza; il 1° tratto pù antico era h.15mt ; il 2° tratto nel 1909/10 era h. 28mt, il 3° tratto nel 1939 è stato ritoccato di altri 7mt, mentre la croce è h.1,80mt, simbolo e segno di redenzione e di salvezza, su di essa sporge il parafulmine per un'altro metro, informazioni extrapolate rovistando vecchi bollettini parrocchiali. 

Un giorno, dalla cima del nostro campanile, io e compagni lanciammo minuscoli sassolini e guarda caso colpimmo la capoccia del nostro amico Fiorito detto "Papes" che era lì sotto ad aspettarci, procurandogli un bel buchino in testa con tanto di sangue versato, colpa della legge di gravità! 

Vorrei ricordare che dietro al campanile negli anni 1950/60, quando noi bambini frequentavamo le scuole elementari, esisteva ancora un pozzo d'acqua, anticamente lo si utilizzava da bere per le persone  ed in seguito la si adoperava per abbeverare buoi, cavalli e muli.

 Negli anni beati, la S. Messa si diceva in latino con l'officiante rivolto all'altare dando di spalle a noi fedeli e nessuno ne capiva niente, ora è tutto il contrario. 

All'inizio della S. Messa, si accendevano i ceri sull’altare col normale fiammifero, mentre le candele poste più in alto, si utilizzava una lunga canna con inserito in punta un lungo cerino, per spegnerle si utilizzava un piccolo cappuccio metallizzato, ora sono plastificate ed elettrificate, sostituendo gli stoppini con lampadine che s’illuminano e si spengono donando un obolo  premendo un pulsante.

 canna  per accendere e spegnere
 
Versare il vino dalle ampolline, suonare il campanellino prima della S. Comunione, preparare l’accensione del carboncino nel turibolo per incensare, erano gesti ripetitivi, monotoni, semplici, ma piacevoli. 

Per il funerale, noi chierichetti col parroco e le pie donne, “Figlie di Maria”, le quali, portavano a mano lunghi ceri e il velo bianco ricamato sul capo, s’iniziava la funzione religiosa partendo dalla casa del caro estinto con tutto il corteo funebre alle nostre spalle e prima di avviarci verso la Chiesa, i familiari del defunto ci distribuivano l’obolo racchiuso in bustine di carta, “come mancia”,  continuando a ricevere oboli servendo funerali, matrimoni, battesimi, cresime, accumulai un bel po’di soldini, riempiendo il mio salvadanaio!


Corteo Funebre con la partecipazione delle "FIGLIE  di MARIA"

Un giorno, noi chierichetti riuniti dietro all’altare per cantare mentre don Teodo suonava il piano, noi, tra uno spintone e l’altro gesticolavamo scioccamente, a quel punto il caro parroco, forse preso dalla stizza ed in preda allo sconforto si girò improvvisamente dandoci uno sganassone colpendo il sottoscritto sulla guance... e rimasi lì per lì un po’ male, poi ci guardammo in faccia …e ridemmo tutti quanti! 

Il martedi del  25 Aprile 1956', noi chierichetti, abbiamo preso parte al "Congresso diocesano" svoltosi ad Asti con altri chierici di altre diocesi, siamo stati veramente in gamba e ci siamo fatti onore in tutto: dall'esame sulla "Liturgia della Messa", al banco dei gelati, alla "processione al Santuario del Portone", alla "partita di foot-bool", perduta soltanto a causa delle gambe più lunghe degli avversari, a bigliardino, a ping pong e tanti altri giochi. 

Abbiamo visto il nostro antico e maestoso "Seminario" rimesso a nuovo dai recenti lavori di restauro e abbiamo fraternizzato con i "chierici e seminaristi" che in quel giorno si sono messi in quattro per divertirci e farci contenti, ecco la fotografia ricordo trovata su un vecchio bollettino parrocchiale.


25  APRILE 1956'-ASTI-(io sono al centro)
 

CAPITOLO VII°--Prima Comunione--Descrizione di Via Civalieri  con i  relativi  personaggi

Quando festeggiai la “Prima S. Comunione”, ero piccolo e magro ed era il 24 Aprile del 1955 e avevo indosso un completino grigio, era il vestito di mio fratello Guido più grande di me di 15 anni che per l’occasione e non avendone altri, i miei lo fecero ridimensionare su misura per me. 

La giacchetta era un po’ larghina e i calzoni lunghi con risvolto finale erano un pò cortini, non arrivavano a coprire le caviglie, i capelli corti e biondicci con frangetta, una coccarda bianca era spillata sul bavero della giacca, il fiocco bianco che rappresentava il simbolo della Prima Comunione era annodato sulla manica sinistra e pendeva come se qualcuno mi avesse preso a braccetto, le manine giunte erano inguantate da bianchi guanti come un maggiordomo, il farfallino o papillon sempre di colore bianco al posto della cravatta spiccava sul colletto della camicia bianca come una farfalla spiccicata contro la parete e con me c’era mia sorella Leopolda, vestita anche lei col suo bel vestitino bianco in onore della ricorrenza religiosa.

1à  Comunione Antonio- 1955'


1à Comunione  Leopolda- 1955'




  1a Prima S. COMUNIONE con i miei compagni Quattordiesi - 1955'


la 1à S. Comunione di mia sorella POLDA con le sue compagne Quattordiesi-1955'

Il digiuno iniziava dalla mezzanotte del giorno prima, per cui  durante la funzione religiosa avevamo una gran fame e alcuni di noi erano in preda a svenimenti per lo stomaco assai vuoto e per l’emozione, mentre al giorno d’oggi il digiuno è richiesto un’ora prima e terminato il rito religioso, ci recavamo tutti all’Asilo dov’era pronta la colazione preparata dalle suore, una tazza di latte mentre i biscotti erano a carico dei nostri genitori. 

Un avvenimento importante nel 1957' fu per noi parrocchiani, "la visita pastorale del Monsignore Cannonero di Asti", io avevo 10anni!

Ms. CANNONERO in visita pastorale-1957'-(io sono in 1à fila a dx)

Via Roma combacia con via Civalieri, altra strada maestra del paese che si biforca da via Garavelli, la quale inizia dalla statale Padana Ovest in direzione di Asti ed era punteggiata dalla vecchia bottega del Sig. Cavallotti Francesco, “scomparso nel 1961 a 62anni", incastonata in un vecchio edificio, col tempo la struttura muraria fu abbattuta. 
Accanto, c’era il negozio del Sig. Bussa Serafino “ex alpino”, uomo simpatico, un pò burlone, gestito con la moglie Anna Morando, donna gentile, modestascomparsa nel 2002 all'età di 78anni  per entrare si salivano tre gradini in pietra. 



Cavallotti Francesco


Via  Civalieri-Anni 50'











  MORANDO  ANNA            

In questa fotografia, la moglie di Serafino ha in braccio la figlia Giovanna,
credo che sia il 1953!

Anna con la figlia Giovanna



SEARAFINO BUSSA















Dietro la vetrina del locale, spiccavano in evidenza sempre delle belle torte con ciliegina rossa fuoco in mezzo e prima che lui arrivasse al suo bancone la ciliegina non c’era più, me l’ero già gustata! 

All’interno della bottega, sulla sinistra primeggiava un vecchio armadio con cassetti a vista contenenti vari tipi di pasta sciolta: dagli spaghetti alle penne, dai torciglioni ai maccheroni e via dicendo, sciolte erano le sigarette tra le quali spiccavano le “Alfa e le Nazionali senza filtro” le più fumate e a basso costo, nel frattempo il Sig. Serafino traslocò in un nuovo locale sempre in via Civalieri e oltre alla fornitura di sali e tabacchi, fu il primo a far installare il telefono pubblico con cabina e noi abitanti del paese in caso di necessità si telefonava dal suo negozio su appuntamento.
 
Sigarette  con  e  senza filtro

I prodotti alimentari del Sig. Serafino, erano molto buoni e saporiti fra i quali primeggiavano i prosciutti, i formaggi e specialmente “l’insalata russa” il suo piatto forte e da tutti riconosciuto, fatta con le sue mani, mentre alcune volte era distratto nel darti il resto!

NEGOZIO  di  SERAFINO  BUSSA

Accanto al negozio di Serafino, risiedeva il “barbiere  Cresta Anselmo” di Rocchetta Tanaro era il 1952', in un secondo  tempo lo sostituì Mario Cariello nel 1958' col papà Vito dalla "tosse esasperante", scomparso nel 1963' a 63anni.


VITO CARIELLO
Cresta Anselmo


Mario CARIELLO--1958'


La sig.ra Ines e il marito Stradella Pietro detto, “Vacatreno”, vendevano giornali e diversi quotidiani, riviste di tutti i generi, inoltre il latte e merce varia, erano i
 Genitori di Gianni e Teresio miei amici e bravi coetanei, purtroppo il caro Teresio ci lasciò prematuramente nel 1987 a soli 34anni per una grave malattia.

Stradella Pietro

Ines Stradella



Teresio Stradella


negozio  Stradella a dx
 
Al piano superiore abitava Venezia Antonio “Toni il campè” e Maggiorina Zallio in Garelli, “mamma di Michelina” e più in là, dominava la “macelleria” di Venezia Pietro “mediatore di bestiame”, sostituito in seguito dal sig. Maggiora della fraz.Serra. 

Venezia-Antonio

Mio padre acquistava la carne da loro facendo segnare sul libretto la spesa, pagandola a fine mese quando arrivava lo stipendio, erano tempi duri ed eravamo tanti in famiglia. 

Continuando in via Civalieri, sulla dx c’è un grande caseggiato con un ampio cortile, i proprietari terrieri erano i Sig. Codrino Pietro, “Pidrin”, fratello del Dott. Codrino Giuseppe “Pino”, titolare della ditta Cavis di Felizzano e la moglie Badella Maria Maddalena, una santa donna, educata, umile, gentile, mamma di Matteo, persone semplici e lavoratrici, ormai scomparsi, il marito nel 1976 e la moglie nel 1995. 

Codrino Pietro
Badella Maria










Un pomeriggio d’estate il loro fienile s’incendiò e oltre ai pompieri vennero in aiuto i lavoratori delle ditte "Inves e Invex," che contribuirono allo spegnimento.


casa di Matteo Codrino

Il fienile di "Pìdrìn", era il luogo che solitamente  sfruttavo, appostandomi con la mia carabina ad aria compressa a sparare sui poveri passerotti che planavano sui rami degli alberi da frutta  dislocati nell’ampio frutteto di fronte alla mia postazione, la visuale era ideale ed io un discreto cecchino che inconsciamente sacrificavo i poveri uccellini per diletto sportivo, mai più sopprimere! 

A fianco, abitavano Giacomo Codrino “Pidòla” detto “Jeki” e la moglie Antonietta che gestivano il negozio di frutta e verdura, persone simpatiche, specialmente il marito il quale s’inventava e raccontava delle storie inverosimili, facendoci sorridere.

ANTONIETTA

Giacomo  Codrino









Di fronte al locale dell’Antonietta, c’è un bel portone antico, in legno massiccio, con un bel battacchio in ghisa inchiodato a mezza altezza ed è l’entrata opposta del vecchio “Palazzo dei Conti Sanfront”.

 con battacchio


Vicino all’edificio, c’era la “canonica e l’oratorio” di Don Teodo, dove noi ragazzi, alla 
sera ci riunivamo per giocare al calciobalilla, a ping pong, a carte, a ridere e scherzare, ora è sostituito da abitazioni e ristorante.


  canonica anni'50 sostituita da nuove abitaz.


tavolo da ping-pong-anni50/60'



Topolino anni50

calciobalilla-anni50/60

Mi sembra di ricordare, che nel cortile della canonica negli anni 50', avveniva la "trebbiatura" del grano da parte di alcuni contadini quattordiesi che con fatica e sudore svolgevano il loro lavoro. Da qualche parte, sempre nel cortile era posteggiata una piccola vettura la famosa "topolino", non so se l'usava il parroco o qualche nostro compaesano!

 

trebbiatura del grano-anni50'


  
Accanto, spuntava la piccola “bottega di merceria” “d’là Clàra”gestita da Giovanni “Gìànìn”, che confinavcon un ampio caseggiato e un bel cortile di proprietà delle “sorelle Clivio”, benestanti e amiche di mia madre, scomparse ormai da tempo, mentre la struttura edilizia è stata trasformata in abitazione e ambulatorio medico per il Dott. Garberi e s’affaccia in via Lanza. 

Via LANZA




Giovanni  Iguera

Le vie Roma e Civalieri s’intersecano presso la Chiesa e il palazzo signorile della sig.ra Ida Mortara, originando nome e vita ad una nuova strada, la “via Cavour” e davanti al suo palazzo è ben radicato nel terreno il centenario albero d’acacia, che si erge maestoso come un vecchio paladino che vigila col suo coriaceo tronco e le sue nodose radici il tempo passato, presente e futuro. 


Via ROMA
Via CIVALIERI










La sig.ra Ida, moglie di un gerarca fascista, non aveva perduto il vizio di salutare le persone di sua conoscenza col “saluto romano”, nonostante la guerra fosse finita.





  







PALAZZO   MORTARA




Quando frequentai la Scuola Materna, era il 1950 e la Madre Superiora era Suor Egidia Rossi, che la gestì per 50anni, fino al 1962, anno della sua morte, all'età di 77anni, gran brava e buona Sorella.


SUORA  EGIDIA  ROSSI

La sostituì Suor Giuseppina Usseglio, già residente nel nostro Asilo dal 1948, la quale, svolse un proficuo lavoro tra i piccoli e le ragazze dell’oratorio, insegnando catechismo, acquistando col tempo, simpatia, affetto e la stima dei Quattordiesi,
poi nel 68’ fu trasferita a S. Biagio di Centallo- (Cn).

 
Suor Maria e Giuseppina
 


Suor Maria, si dedicava con garbo e umiltà alla Chiesa, corredandola con fiori e addobbando con paramenti sacri e tovaglie ricamate l’altare maggiore per le S. Messe domenicali e per le festività religiose più importanti.

Suor Giustina, invece, era una donna energica dinamica, concreta, dal carattere rude e dai modi spicci, attiva nell’accudire galline e conigli, coltivava l’orto e curava il giardino, una sorella più campagnola che teorica. 

foto di gruppo delle consorelle

Indossavamo un grembiulino azzurro a quadrettini, il cestino della merenda conteneva una formina di marmellata, un biscotto, un formaggino e un frutto, altro non c’era e 
dopo pranzo ci costringevano a dormire con la testa appoggiata sul banco, altro che 
brandinacome si usa al giorno d’oggi!


cestino della merenda-anni50'

Nel cortile inghiaiato, il piccolo parco giochi era composto dallo scivolo, da un’altalena, una giostrina, un’ostacolo per saltare e noi bambini giocavamo divertendoci un mondo. 

Nell’istituto infantile, il salone era adibito a teatro e corsi di catechismo, si cantava, si recitava sul palco alla presenza del pubblico Quattordiese e per la contentezza dei nostri  genitori che assistevano soddisfatti allo spettacolo e alla fine del saggio il presidente di turno, una volta era l’ing. Fracchia poi l’ing. Pettazzi, seduti in prima fila con le rispettive consorti lanciavano caramelle sul palco e noi bambini con gioia e felicità gareggiavamo per impadronircene il più possibile! 

Sotto il palco, erano nascoste le patate, raccolte e lasciate ben distribuite sul pavimento da Suor Giustina che con lusinghe e qualche caramella in dono per noi volenterosi, avevamo il compito di staccare i germogli sviluppatosi col tempo sui tuberi e per i bambini più vivaci si faceva accompagnare in cantina a prelevare il carbone per la stufa con un secchiello di ferro. 

Suor Giustina, sorella tuttofare, fungeva anche da infermiera,  per un certo periodo ero bisognoso d’iniezioni prescritte dal medico per vitaminizzarmi, ero talmente magro che sembravo un bambino del “Briafa” e alla Domenica mattina dopo la S. Messa delle 9 ero da lei a farmi punzecchiare le magre chiappe,...che male che dolore, la consorella aveva la mano pesante, purtroppo ero solo pelle e ossa, che paura, Suor Giustina dal carattere coriaceo, ma sincero, morì nel 1971 a 80anni, lasciando una traccia nel mio cuore.

Suor GIUSTINA

ASILO  INFANTILE frequentato negli Anni 50'-vedi a sx Chiesa S.Sebastiano

ASILO  INFANTILE Ristrutturato-Anni 2000'


CAPITOLO  IX°--Via Garibaldi e descrizione di alcuni personaggi.

Via Garibaldi, detta “la Costa” è una stradina stretta e in discesa, dritta come una lama di coltello, un pò buia, un pò fredda, un pò triste, all’ombra delle piante d’acacia non si vedeva mai il cielo se non a spiragli tra i rami e le foglie ed era molto frequentata da noi ragazzini per gareggiare in salita con le biciclette,...che fatica!

Via GARIBALDI "LA  COSTA"

In questa via, abitavano le famiglie Alineri Francesco, “Cichìn” scomparso nel 1978' a 75anni  e Lina Viotti defunta nel 1976' all'età di 72anni ed un certo sig. Penno Defendente detto “Fendent” rimasto vedovo assai presto ed era lo spauracchio delle donne, perchè, con la scusa di vedere i conigli nelle stalle in compagnia della padrona di casa, faceva “la mano morta” ed era sempre al Bar Sport a raccontare le sue conquiste femminili.

ALINERI Francesco

LINA VIOTTI









La via è nascosta tra la rete metallica confinante dell’Istituto Infantile e il muro di cinta del bel palazzo “La Rocca” dell’Ing. Fracchia che s’affaccia di fronte al piazzale della Chiesa.


 
LA  ROCCA-Vista 'INTERNA"


FRACCHIA Giuseppe










Era titolare di alcune ditte Quattordiesi, tra le quali la Invex e Alfacavi, lavoratore instancabile e uomo d’affari, nello stesso tempo non trascurava il campo sociale e spirituale, ed era presidente dell’Asilo.

PALAZZO "LA ROCCA"-VISTA  ESTERNA

Via Garibaldi s’interseca con via Urbano Rattazzi, che confina con l’agglomerato di case distribuite lungo la strada chiamato “Borghetto”. Un ampio cortile ospitava l’officina meccanica del sig. Silverio Giuseppe detto “Sivèrin”, un “mago”, nel riparare e truccare automobili, facendole diventare più potenti, più veloci e da competizione.

 “Sivèrin” lanciava la sue vetture sportive a velocità sostenuta per provarle, sfrecciando davanti al Bar Sport per far vedere a noi spettatori le sue capacità di guida con accanto un amico o un conoscente, è scomparso nel 2011' a 75anni.
 
Silverio  Giuseppe 

Presso l’Istituto Infantile, in un piccolo caseggiato abitava al piano superiore la famiglia Renes Giuseppe e la moglie Angiolina, mamma di Franco, Alda e Michelino, tutte brave persone. 
Donna piccola di statura ma dal carattere grintoso e polemico, dalla parlantina salace, era molto protettiva verso i figli.

Guasta Angiolina


 
Beppe Renes
ALDA RENES

 
   Angiolina-Beppe e Gianni 

Al piano inferiore dimoravano i genitori di Angiolina, la madre Francesca Ferraris era "settimina, veggente e mezza maga," curava slogature, caviglie, piedi, polsi, spalla, tutto il reparto osseo, chi più ne ha più ne metta, con unguenti a base di olio, lardo e fasciature. La "mezza maga segnava i vermi” detto in gergo dialettale, cioè, indicava i famosi “acetoni” specialmente per i bambini a chi ne faceva richiesta. In una scodella metteva un pò d’olio, acqua calda, un tratto di filo da cucire e bisbigliando parole incomprensibili e formule indecifrabili, con piccoli gesti delle mani ruotava la scodella, era il rito arcano “scacciavermi” di questa donna, è scomparsa nel 1968' a 91anni! 


Francesca FERRARIS

 La famiglia Renes era in possesso di una mucca, bianca di colore e di nome “Nisòla”, la tenevano sotto il portico; il loro punto debole era l'entrata formata da 7 gradini per accedere alla casa, utilizzata per entrare e uscire, tutto il resto era cintato dalla rete metallica del vicino istituto delle suore e da altri proprietari e così  la povera bestia imparò a scendere e salire i gradini!

LA  MUCCA  "NISOLA"

CAPITOLO X°--continua descrizione di Via Roma con relativi personaggi e alcune manifestazioni e luoghi persi nel tempo.

Salendo via Cavour, sulla sx c'era un grande caseggiato con un ampio cortile e vi abitava Dino Devecchi detto "dalgundu", ora ristrutturato e adibito a "oratorio
parrocchiale S. Pietro".

ORATORIO Parrocchiale

Dopo l'oratorio, un terrapieno a forma di collinetta o altura dominava la via ed era chiamato "piantato" e sulla cima troneggiava la vecchia Chiesa S. Sebastiano", abbandonata, spoglia, sconsacrata da tempo e davanti un'antica croce lignea era conficcata nel terreno, mentre il terrapieno perimetrale in tempi lontani fungeva da Camposanto. 
Da ragazzi, giocando a guardia e ladri, a cerabottana, a lotta di gruppo, ci nascondevamo tra la vegetazione che cresceva lungo il pendio dell'altura che s'affacciava su via Lanza di fronte alla fabbrica Inves e tra un sentiero e l'altro, c'imbattevamo di tanto in tanto in ossa umane che affioravano dal terreno. 


CHIESA  S.SEBASTIANO

Sul piazzale erboso del piantato per un periodo di anni si festeggiava "il Carnevale", innalzando ed ergendo con numerose fascine di canne e rami secchi il famoso "Falò"!

Per allestire la "pira carnevalesca", noi ragazzini lungo la settimana con carrettini e carriole giravamo per le vie del paese di casa in casa a racimolare fascine e canne da ardere e le famiglie più facoltose come i sig. Fracchia, Pettazzi, Venezia, Uslenghi e altri ci regalavano caramelle, cioccolatini, noci, nocciole e noi eravamo felici e contenti! 

Traslata la materia prima da ardere sul "piantato", i grandi costruivano il "Falò" piantando un grosso palo di legno nel terreno e accatastando le fascine intorno una sopra l'altra formando la sagoma piramidale. 

Nella serata la popolazione era invitata ad assistere e tra canti, balli e schiamazzi si dava fuoco alla struttura che ergeva maestosa al centro del piazzale e formando una catena umana prendendoci per mano, correvamo intorno al "falò" e tra mille faville e scintille scoppiettanti salutando felici e contenti il "Carnevale e il vecchio anno trascorso"! Il falò continuava ad ardere, tiravamo tardi osservando il fuoco affievolirsi sempre più fino a che tornavamo a casa, lasciando la brace a dialogare con le stelle.

FALO'

Il rito carnevalesco col tempo s'è perso e la vecchia Chiesa è stata abbattuta e sostituita dalla nuova "Canonica per il nuovo Parroco, Don Dario Mottura", arrivato il 5 Marzo del 1961' nativo di Cisterna, sostituendo per sempre il passato trascorso del nostro povero Don Carlo Teodo!

NUOVA  CANONICA

Il nuovo Curato don Dario, all'inizio del suo operato fece rifare il pavimento della Chiesa e sotto il rivestimento si distinguevano ancora brandelli di stoffa e di capelli, resti di alcuni importanti personaggi e benefattori del paese che da decenni dormivano nel sonno della morte, allora era uso e costume tumularli all'interno delle sacre mura!


 Dario Mottura-1961

Don Mottura è stato un uomo esigente, attivo, si è sempre battuto per migliorare le
strutture estetiche della Chiesa, sia la facciata che il portale d'ingresso, rimodernando l'organo dalle "900 canne" ed elettrificando le campane.



ORGANO  DALLE "900"  CANNE
PORTALE  Ristrutturato















E' stato un sacerdote attento ai cambiamenti facendosi promotore d'iniziative parrocchiali, migliorando e rinnovando le relazioni sociali tra Chiesa e fedeli, uomo dal carattere mite ma con grinta al momento giusto!

Sempre in via Cavour sulla dx, una decina di case l'una attaccata all'altra  come grani dei rosari punteggiavano la strada e vi abitavano e qualcuno abita ancora le fam. Ponzano, Tedeschi, Badella, Cavanna, Alineri, Decarolis, il figlio Cristoforo chiamato "Tufinu o Tofu" dagli amici, perì tragicamente in un incidente stradale nel 1997' a 45anni, Balza Carlo "Frissa", Sillano, Venezia Antonio "Toni  il Campè" col figlio Giacomo "secondo sarto del paese", Venezia Giovanni il maresciallo detto "Bombarda", Romagnolo e più avanti ancora i Simonelli, Garavelli, Sandrone Adriano la cui abitazione in precedenza era occupata dalla fam. Pozzi.


Venezia Giacomo

BALZA

Fam. Decarolis con figli

Sandrone Adriano

Venezia Giovanni
SIMONELLI

Via Cavour dopo la salita s'allunga solitaria, le case si diradano e sbuca sulla strada via Serra che porta al Camposanto e alla fraz. Serra che dista da Quattordio per circa 2km.

 VERSO  IL  CAMPOSANTO  E  FRAZ. SERRA

Verso il Cimitero a sx c'è la Fabbrica Alfacavi di proprietà dell'ing. Fracchia, Pettazzi e rag. Venezia Antonio, fondata nel 1956', ora passata in altre mani!

ALFACAVI
 
Negli anni50'/60' lo stabilimento non esisteva ancora ma campi coltivati dominavano l'area ed i proprietari terrieri credo che fossero i sig. Decarolis.

 Prima del Camposanto a dx c'è la strada asfaltata che a fine discesa s'incrocia col percorso verso fraz. Piepasso e ditta Invex.


DITTA  INVEX

Quel tracciato quand'ero bambino non esisteva ma una bella collinetta con un bel pendio dominava allora la posizione ed era situato non proprio alle spalle del Cimitero ma più a sx. 

D'inverno, quando cadeva la neve, noi coetanei con una grande slitta prestata dai fratelli Gianni e Enrico Codrino "Màtlìn", i quali abitavano ai piedi del pendio si scendeva dalla cima di un'altura chiamato "Montesanto".

MONTESANTO

Seduti in quattro sulla slitta due davanti e due dietro, filavamo veloci fino a fondo pista e a fine corsa ci aspettava il solito fossato e di conseguenza il fatidico volo  ruzzolando a testa in giù sulla neve, mentre sul fondo dei pantaloni s'intravedeva il solito strappo causato dalla capocchia di un chiodino che spuntava  dall'assito del mezzo, comunque il nostro pomeriggio trascorso all'aria aperta fra amici era  divertente! 

Dopo la parentesi del Montesanto ecco delinearsi il Cimitero e dominavano l'entrata grandi tigli ben radicati sul ciglio della strada e stavano lì a far da guardia  come "vecchi gendarmi alla storia del passato e del presente" e testimoni nel veder oltrepassare il cancelletto del Camposanto decine e decine di defunti per iniziare il "sonno eterno"  in santa pace salutandoli per l'ultima volta con lo "stormir di foglie al soffio del vento"! 

Oltre ai tigli, numerosi pioppi stavano lì impalati come barriere con accanto piccole croci conficcate nella nuda terra che ricordavano con targhette i nomi dei militari morti nella 1à e 2à guerra mondiale. 

Nella ricorrenza del 4 Novembre "festa delle Forze Armate" si commemorava la "Vittoria della Guerra 1915'-18'" con la presenza di noi alunni della scuola elementare con i nostri rispettivi insegnanti e delle autorità del paese, accompagnato da un nobile discorso letto dal Sindaco e dal suono della banda musicale e come rito finale s'innestava una nuova piantina nel terreno per ricordare i cari caduti al fronte. 

Ultimamente tutto ciò è ignorato non c'è più memoria, i valori patriottici vanno a farsi benedire, tutto cìò sta cambiando, la società si evolve, questa nostra era che vive nello sconforto dell'abbandono per la perdita di credibilità nelle istituzioni, pare che abbia perso il senso della misura, ignorando sempre più i confini del lecito e concedendo ampi spazi ai soprusi, mentre la maggior parte dei cittadini dimentica il passato tuffandosi solo nelle moderne comodità. 

I gelsi, i tigli e i pioppi non esistono più, sono stati sradicati e sostituiti da aiuole, più nove pini e due pini nani ed un nuovo piazzale asfaltato e cementato, ornano l’ingresso principale, mentre una nuova ala di loculi si sta delineando.

Ora che sono adulto ed i miei genitori non ci son più, un sabato mattino d’inverno con timore riverente ho aperto il cancelletto e sono entrato nel Camposanto a far visita ai miei cari, ivi sepolti.


NUOVA  ENTRATA  CAMPOSANTO

Entro e davanti a me il solito prato, non più coperto di erba e ghiaia ma stamane una coltre di neve la copre è caduta nei giorni scorsi e giace lì come un manto bianco ad indicare che i defunti ormai riposano da tempo, indenni dai mali terreni come se le loro anime fossero terse e mondate da ogni peccato.  

Si respira un’aria fresca, frizzantina, stamane mi sento rincuorato, calmo, sereno come non mai e questo silenzio m’invita a far visita ai cari estinti.

 In fondo allo spiazzo innevato c’è una grande croce, una croce di legno simbolo religioso che sta a indicare che in terra la vita è irta di ostacoli, mentre la morte porta la pace e la serenità nell’aldilà e mentre il mio pensiero è impegnato nel descrivere mi affiora il ricordo del caro “ cantoniere del paese” Tedeschi Alessandro, papà di Gianni, mio compagno di Leva.  

VECCHIA  ENTRATA  CIMITERO  


Tedeschi Alessandro 

Rivedo questo brav'uomo addetto alle funzioni di sepoltura e alla tumulazione finale del caro defunto dopo le parole di rito del parroco, lavorando in precedenza di pala e  piccone, col bello e cattivo tempo, per scavare fosse, curando tombe e loculi. 

Fino a qualche decennio fa, i morti si seppellivano frequentemente nella nuda terra, ora li tumulano nei loculi, c’è bisogno di spazio, e come disse un poeta, “oggi la morte dell’uomo si è fatta più piccola.” 

Il caro Tedeschi Sandro si dedicava con la sua ramazza a pulire le strade Quattordiesi come operatore del Comune, con dedizione e dovizia, poi nei ritagli di tempo, si 
avviava col carro trainato dalla sua fedele asinella di nome “Bùrica”, ad 
occuparsi del suo campo e della sua vigna, nella zona detta "alfarafin cioè ferrofino”, nei pressi della fraz. Piepasso.


ASINELLA  "BURICA"

La cara asinella, quando usciva dalla stalla era contenta e felice, ma nel rientrare era ostinata e recalcitrava, non ne voleva sapere, forse per paura del buio del locale, allora il papà di Gianni, con astuzia gli lesinava un pò di zucchero dal palmo della mano, la povera bestia ne era ghiotta e golosa, rientrando felicemente al suo giaciglio.
 La moglie, Alice Berselli mamma di Gianni, era una donna semplice, educata, gentile, sempre col sorriso sulle labbra, ben voluta e stimata da tutti, prematuramente ci lasciò per sempre nel 1970 all'età di 57 anni.

ALICE BERSELLI
                                                                           







Mentre il mio passo procede tra corridoi di lapidi, il mio sguardo sporge a sinistra e a destra, curiosando tra molteplici cappelle, mi fermo dove ci sono le lapidi con l’effige di mia Madre e di mio Padre, volgo lo sguardo all’insù perché i loculi sono fissati a mezza altezza della cappella, guardo la foto di mio Padre dal viso bonario e serioso e più lo guardo e più non lo ricordo quand’era in vita , la sua fisionomia, i suoi gesti, le sue espressioni mi sfuggono, allora ero giovane e non ero conscio dell’affetto familiare a cui ero soggetto, ormai sono ricordi lontani caro Papà, dolce e buono, umile e gentiluomo, mai uno sgarbo, mai un litigio, mai un rimprovero, tutto era lineare. 
 
Vedo l’immagine di mia Madre dal viso giovanile, sembra una ragazzina che folta chioma, che bei capelli aveva mia mamma, capelli forti e robusti come il suo carattere, occhi blu come il cielo, bella, eppure anche lei non c’è più , la ricordo sola nella sua stanza sul letto di morte avvenuta improvvisamente in una “fredda mattina di Febbraio del 1989 col sorriso sulle labbra", forse non ha sofferto, s’è ne andata come un angelo in punta di piedi senza disturbare nessuno,  rivolgo a loro una muta preghiera, un ultimo sguardo e un saluto e poi con passo lento e leggero mi avvio a visitare altri lapidi, a leggere altri nomi a vedere altre foto.
 Padre Vittorio

 Madre ONORINA










Tanti li conosco, altri ancora li conoscevo solo di vista, mentre per tanti cari vecchi Quattordiesi che hanno allietato la nostra infanzia ed alcuni scomparsi prematuramente a loro va il mio pensiero con stima e affetto. 

Un caso singolare che mi ha colpito guardando volti e nomi dei defunti è la data di nascita e di morte dei coniugi Venezia Antonio “Toni il campè”e della moglie Romagnolo Adelaide Carolina, nati nello stesso anno 1899 e quasi nello stesso mese, lui a Luglio e lei a Maggio, morti nello stesso anno 1980 e mese, lui l’11 maggio e lei il 14, tre giorni dopo, all’età di anni 80 dopo una vita trascorsa insieme felici e quasi per un tacito accordo sono partiti insieme verso il cielo.

A.Venezia- A.Romagnolo

Cari ricordi lontani e nel ricordo i miei occhi s‘inumidiscono, vorrei piangere ma non riesco, ritorno al cancelletto lo riapro e sotto il sole tiepido che  ormai è alto nel cielo, m’incammino verso il paese con serenità nel cuore e nell’anima.

            CAPITOLO XII°--Descrizione Palazzo Sanfront con i suoi relativi abitanti

La nostra seconda abitazione fu il “Palazzo dei Conti Negri di Sanfront", entrammo nel 1949' e io avevo 2anni!



PALAZZO  SANFRONT-ANNI 50'



PALAZZO  SANFRONT-ANNI 2000'

Lo storico edificio dei Sanfront, fu adibito ad alloggi per i dipendenti delle industrie Inves-Invex, per la nostra famiglia composta da otto persone l’alloggio era un po’ strettino, si entrava dalla cucina, poi nel corridoio, la saletta fungeva da camera da letto di mio fratello Guido, dopo c’era la stanza dove dormivano le mie sorelle e alla fine la camera dei miei genitori più il sottoscritto, in fondo al corridoio il bagno. 

Le finestre della nostra stanza, una s’affacciava su un piccolo pezzo di terreno incoltivato e pieno di erbacce cintato da un vecchio muro, l’altra occhieggiava sulla via Garavelli, idem quelle delle mie sorelle e di mio fratello. 

Per scaldarci d’inverno era un po’un problema, oltre alla stufa economica in cucina a metà corridoio, una piccola stufa tubolare la si alimentava a carbone e quando scaldava l’involucro in ghisa diventava incandescente, fin quando un giorno, distrattamente mio fratello Guido mi spintonò  ed io mi bruciai il ginocchio sinistro, riportando ancora oggi la cicatrice.

 
ENTRATA VECCHIO ALLOGGIO
STUFA  ECONOMICA



Stufa Tubolare a Carbone-Anni50'

Tra il muro divisorio delle stanze da letto delle mie sorelle e dei miei genitori,
c’era un’altra stufa incastonata nell’apertura della parete fatta fare da mio padre e con pìù coperte e pesanti piumoni, patimmo di meno il freddo invernale. 

Le stufe, oltre ad alimentarle a legna e carbone, d’estate si preparavano palle di carta fatte con fogli di giornali e appallottolate immerse nell’acqua del mastello e messe al sole ad asciugare, s’indurivano, utilizzandoli poi  nelle singole stufe durante l’inverno quand’eravamo a corto di materia prima da ardere. 

Il mio letto in ferro era disposto in un angolo della stanza e dormivo con la testa rivolta verso il giardino, le pareti trasudavano umidità  proveniente dalla cantina sottostante dal pavimento sterrato.

 Quando la pioggia era intensa, riempiva di rigagnoli via Garavelli, alcuni filtravano nella nostra cantina dai pertugi e col passare del tempo l’umidità continuava a salire sui muri. 

I miei genitori dormivano nel letto matrimoniale al centro della camera con le teste verso la parete divisoria e una notte di un certo anno  che io non ricordo, sentimmo echeggiare uno sparo,  il proiettile per caso fortuito s’incastrò nel muro ad un metro d’altezza dalla testa di mio Padre. 

Il dirimpettaio alla nostra finestra, disse di aver visto un’ombra salire ed il colpo di pistola partì e ripresoci dallo spavento tutto finì lì perché mio padre gentiluomo, non sporse denuncia. 

Ritornando alla stufa del corridoio, questa maledetta c’ìntossicò una notte e a nostra insaputa, al mattino ci svegliammo con un gran mal di testa ed un forte pulsare alle tempie tranne mio papà, il quale era sempre il primo ad alzarsi per accendere la stufa e preparare il caffè. 

Mio padre non si perse d’animo, chiamò subito il dott. Garberi, che solerte intervenne inquadrando subito la situazione, dicendoci che l’aria era satura di anidride carbonica causato da un tubo difettoso, grazie dott. Garberi per averci salvato la vita e un grazie a mio padre che con tempestività lo chiamò.

Oltre alla cantina, c’era il portico dove si ammucchiava legna, carbone e masserizie varie, nel porticato una ringhiera dominava la scala fin sul solaio con pavimento di legno non tanto rassicurante dov’erano ammassati altri oggetti. 

Avevamo anche un cane randagio di nome "boby" dal pelo bianco punteggiato da macchie nere , ci teneva compagnia, specialmente a me e alla mia sorellina Leopolda, era docile e ubbidiente, era il 1951', e io avevo 4anni e mia sorella 3anni!
 
POLDA-ANTONIO e  CANE "BOBY"-1951'

Mia madre, aveva bisogno di un aiuto nei lavori domestici, le mie sorelle contribuivano a piccoli lavori di casa e per lavare le lenzuola che erano tante, allora si lavavano a mano e non essendoci ancora la lavatrice che è stata una superba invenzione eliminando tanta fatica alle casalinghe, l’aiutava la sig.ra. Maggiorina Zallio,  donna energica e volenterosa, oltre ad essere retribuita, per colazione si mangiava una razione di “pane e gorgonzola” per la quale ne era ghiotta.
 
Maggiorina ZALLIO

Il bagno, da bambino lo facevo nel mastello al sabato pomeriggio in cucina e con le persiane chiuse, una mania di mia madre forse per pudore verso le mie nudità che mai venissero adocchiate da estranei, non c’era ne vasca ne doccia e il compito di lavarmi l’avevano le mie sorelle maggiori.


Mastello zincato-anni50'

 
Ero un fanciullo molto nervoso, quando non ubbidivo e rispondevo malamente a mia madre, ella, severa mi dava alcuni scapaccioni, aveva la mano pesante,  mentre mio padre non l’ho mai visto alzare un dito su di noi. 

D’estate raccoglievamo piantine di camomilla nei campi, a casa le facevamo seccare al sole su fogli di giornali per alcuni giorni e ci serviva per farne tisane, ora si è perso questo semplice metodo, ormai nei supermercati trovi di tutto. 

L’acqua da bere si prendeva dal rubinetto e allora non essendoci l’acqua gasata, la si mescolava nella bottiglia con due bustine di polvere idrolitina, una di colore azzurra e l’altra rossa, diventava “acqua viscì” dando gusto e sapore.
acqua "viscì"anni50'

Quando c’erano tante mosche d’estate si usava il “Flit”, famoso insetticida anglo-americano, veniva spruzzato con la caratteristica pompetta che aveva una sorta di botticella dove si metteva il liquido da nebulizzare,  però questo utilizzo venne in seguito soppresso nel 1978' per via del contenuto troppo tossico per l’uomo.
 
Flit- Scacciamosche-anni50'










Un’altro modo per cacciare le mosche fu la carta moschicida, molto semplice e si usava prima ancora del Flit, una carta impregnata di colla e appesa a striscioline ai lampadari delle cucine e nelle stalle, così le mosche rimanevano appiccicate, comunque, non era un bello spettacolo a vederle.

Nei primi anni di casa Sanfront, credo di aver avuto 5 o 6 anni, il caro vicino di casa il sig. Fiori Antonio “Tunin”, usò la bigoncia per pigiare l’uva e assaggiai il dolce nettare chiamato “mosto”. 

Le vigne allora esistevano ancora verso fraz. Serra e Piepasso e altri paesi limitrofi, 
però con l’avvento e lo sviluppo delle industrie del nostro paese dovettero man mano eliminarle.


BIGONCIA-ANNI 50'
Antonio FIORI













 Nel palazzo Sanfront vi è un gran cortile e un bel porticato formato da quattro arcate sostenute da robuste colonne di pietra grigia, mentre un’imponente scalone in pietra con una bella ringhiera in ferro battuto sormontata da un bel corrimano in legno arrivava al piano superiore, in mezzo alle prime due rampe di scale c’è un pianerottolo vigilato da un busto di donna a seno nudo dallo sguardo sorridente,  incastonato nella nicchia ricavata a mezza altezza della parete.


BUSTO di DONNA

Sotto lo scalone c’è una cantina, dove io non misi mai piede ed in prospetto di questo piccolo atrio c’è una porticina in legno che aprendola si accede in un modesto giardino scendendo cinque gradini in pietra,  è circondato da un muro di cinta.


parte  del  GIARDINO-ANNI 50'

IL  GIARDINO  NEGLI  ANNI 50'

facciata giardino nel 2000'

il giardino com'è nel 2000'
 








entrata giardino nel 2000'

Il giardino era composto da alberi da frutto, ornato di siepi e aiuole fiorite e da un’antico pergolato coperto da tralci di vite ed in fondo contro il muro una panca in pietra per riposare. 

All’età di 8anni, era il 1955, scattammo alcune foto ricordo per la "Prima Comunione," il gruppo di famiglia,  io e mia sorella Leopolda appollaiati sull’albero di pere e la mitica foto con il compagno di Leva Giampaolo Calligaris, sembravamo “Cric e Croc cioè Stanlio e Olio” che ricordano i due attori comici americani, uno grasso e l’altro magro, Giampaolo era più alto e robusto, io  mingherlino e rachitico.

                                                                
GIAMPAOLO  E  ANTONIO
                                   
Antonio e Giampaolo  in  Giardino
                        


Il caro “Giampaolo” quando fu più grandicello, la sua mansione fissa annuale era: trasportare legna sul solaio per farne scorta per l’inverno e quando il cumulo di legna veniva scaricata dal rimorchio trainato dal trattore sotto il portico di casa il baldo e dirompente “GP”, che non vuol dire “Gran Premio di F.1” ma le iniziali del simpatico Giampaolo, non vedeva l’ora di perdere qualche chilo ma nello stesso tempo,  l’ingrato compito era preludio alla fatica fisica perchè  doveva centellinare  i  “63 gradini delle tre rampe dello scalone  per arrivare al solaio con una bella cesta di vimini colma di materia prima da ardere appoggiata sulle spalle e con gioia e gaudio, trascorreva il pomeriggio a salire e scendere le scalinate, tergendosi il copioso sudore delle sue membra con asciugamani e fazzoletti.

FRATELLI  COLLI  TIBALDI CON  MAMMA  IN  GIARDINO--ANNI 50'


ANTONIO  E  LEOPOLDA  SUL  PERO  IN  GIARDINO--ANNI 50'


IL  GIARDINO  NEGLI  ANNI 50'


LE  SORELLE  DOLLI--BEA--BILLI  IN  GIARDINO--ANNI 50'

Fratelli COLLI TIBALDI-da Sx-POLDA-ANTONIO-ALBERTA-ADOLFINA-BEATRICE-GUIDO-Anni 50'-2000'














Era un abile “pescatore amatoriale” sulle sponde del fiume Tanaro di Masio di giorno e di notti estive, tra zanzare e pacchetti di sigarette andate in fumo si godeva con la sua amata canna da pesca, il guizzare e colpi di coda di qualche ignaro pesce attaccato all’amo della  lenza. 

Un giorno di un pomeriggio estivo lo accompagnai e seduto su un masso, resistetti ben poco in quel silenzio infinito, rotto solo dai flutti dell’acqua che si rifrangevano e lambivano i ciottoli sparsi sui margini del fiume, mentre l’acqua scorreva veloce e silenziosa spinta dalle correnti fra meandri di verde che si avvolgono nel mistero. Osservai il tramonto mentre il sole a poco a poco declinava, una velatura d’ombra si diffondeva nel cielo, io mi sentii prigioniero della solitudine che aleggiava intorno a me e dopo di che, salutai il “filosofo Giampaolo” dal carattere pacato, tranquillo, statico con la sua canna da pesca e mi allontanai per sempre dalla vita di pescatore amatoriale e mi dissi ”non fa per me”, per il sottoscritto un pò nervoso, piace l’azione, il movimento, l’attività sportiva di lunga durata come il podismo e il ciclismo. 

Sotto al grande atrio, nel salone dei musicanti, si riunivano tre volte alla settimana i componenti della banda municipale per le prove e tra uno strombettìo di trombe, un rullìo di tamburi, un ripetitivo sbattere di piatti ed un moltiplicarsi di acuti suoni a fiato dei clarinetti, i simpatici strumentisti guidati dal brioso maestro sig. Bosio di Alessandria, ci rallegravano la serata.


Banda Musicale quattordiese-anni50/60'


BANDA  COMUNALE  QUATTORDIESE-anni'30/40'


Oltre alla nostra famiglia, nel palazzo Sanfront abitavano: al piano superiore i coniugi Cavallero G. Battista e Rangone Elsa, prematuramente scomparsa nel 1959 a soli 
37anni per grave malattia, lasciando in tenera età i figli Sandro e Mariella; ( l'Alpino),
Calligaris Giuseppe e la moglie Devecchi MariaRosa, (mancata nel 1998' all'età di 78anni), col figlio Giampaolo e nonna Camera Cristina, donna semplice e attiva, instancabile, trascorse la sua vita nell’umile lavoro di casa e nella dedizione completa della famiglia specialmente per il suo caro ed amato nipote Giampaolo, scomparsa nel 1970 a 73anni
 
Franca-Sandro-Mariella
Camera Cristina
Rangone ELSA

 Cavallero
Giuseppe Calligaris









M. Devecchi













Nel sottoscala, verso l’entrata del giardino, dimorava prima che arrivassero i sig. Iamoni e la consorte Annovazzi Teresa
la famiglia Penno Francesco “Cichin d’là milèta” e la moglie Zallio Angioletta, “mamma della Marita” e poi a ridosso del cortile, abitarono i sig. Mantelli e Capra. 

Iamoni Giuseppe

Annovazzi Teresa










La fam. Romagnolo-Codrino Irene detta “Neni”, deceduta nel 2004 alla veneranda età di 97anni, “mamma di Rita e Luisa la “pettinatrice”, fu la prima “edicolante del paese e portalettere” in sostituzione di Ponzano Giovanni, inoltre la famiglia Fiori Antonio “Tunin”, papà della Franca nostra cara amica d’infanzia e di giochi, più tardi, arrivarono i sig. Marchese, i Donà, i Puppo, i Manzini, Morandi, Ottaviano, Poggio, Venturini, mentre la pìù anziana di tutti era la sig.ra Cresta Maria Delfina, "Fina", scomparsa nel 1956'.
 
LUISA-BEA-RITA
Irene Codrino

Penno Francesco

Zallio Angioletta








 

Io, allora avevo 9anni, perciò non potevo conoscere la storia o la vita di questa persona, però col passare degli anni trovai una vecchia fotografia dove la sig.ra Delfina è ritratta in compagnia di: a sx Ernesta Sandrone, bottegaia, vedova Millo, (nonna di Mirella-Papa), Venezia Clementina di Quattordio e  l'amica Virginia, non conosco il cognome), alla "Fiera di Torino sull'Africa, era il 1930'.

Fiera di Torino sull'Africa-1930'


Cresta Maria Delfina 
















Sotto l’atrio, erano accatastati vecchi macchinari e fusti vuoti, dove io e le mie sorelle Billi e Polda, ci divertivamo a saltellare e camminarci sopra, inoltre imparammo ad usare la bicicletta, a saltare la corda e altri giochi.

 a sx-Polda, Franca e la madre Lina e il padre Tunìn- Irene, Bea, Alberta, Antonio




Franca-Antonio-Polda in bici nel cortile -anni50'


Gatti Paola




Lo scalone in pietra era per noi ragazzini il ritrovo giornaliero per ascoltare storie e storielle raccontate da Giampaolo e dal sottoscritto, mentre i nostri fans rimanevano a bocca aperta nel sentire le nostre trame fantasiose.

Anche le vicine di casa del cortile si sedevano sui gradini dello scalone nel tardo pomeriggio estivo a “filar la vecchierella, incontro là, dove si perde il giorno e novellando vien del suo buon tempo”, frase poetica, tratto da una poesia del grande poeta Giacomo Leopardi, “ Il sabato del villaggio”.

sorella Alberta"Billi"-anni'50
Scalone in pietra


















Infatti, verso le ore 17 del pomeriggio quando il sole stava per tramontare, qualche raggio di sole brillava ancora sulla scala e contro la parete dov’erano appoggiate le donne del vicinato a cucire, a ricamare e sferruzzare a maglia, parlando del più e del meno dei fatti della giornata.

Fratelli Colli Tibaldi-anni'50

CAPITOLO  XIII°--Descrizione dei giochi infantili tra amici nel cortile Palazzo Sanfront

  Il cortile Sanfront per noi bambini, era un nostro mondo chiuso, un abitat beato, lontano dagli altri e dal male esterno, una scatola chiusa.

 I ricordi della nostra infanzia, stanno nel cortile, in tutti i cortili del paese ed è stato un punto di riferimento per coetanei ed amici giocando al pallone con ai piedi sandali traforati ma robusti, a scatola, a nascondino, a nascondendoci sui solai e sotto ai porticati, a guardia e ladri. Utilizzavamo le “astine di ombrelli” in disuso per fabbricare archi e frecce, le “fionde” per cacciare uccelli e lucertole, costruite con rametti di legno a “Y” e come elastici utilizzavamo ritagli di cameradarie da bicicletta,  attaccavamo ai raggi delle ruote delle nostre bici le “cartoline piegate”, trattenute con una molletta da biancheria per far più rumore pedalando. 

Bea su lambretta-anni50'

FIONDA-ANNI50'











CEREBOTTANA-ANNI50'



ARCHI E FRECCE-ANNI50'


 










Mia sorella Leopolda, “Polda” per le gli amici e l’amica d’infanzia Franca, giocavano
 con le “bambole” regalate dalla ditta Inves per Natale, 
doni assegnati ai figli dei dipendenti, a noi maschi regalavano trenini elettrici e tanti altri bei giocattoli che passione, e con pentolini, piattini e posate varie, che facevano parte del corredo natalizio, preparavano minestrine e intrugli vari con polverine grattate sui muri, terriccio ed erbette raccolte nel cortile di casa, giocando con fantasia e genuinità.

 
trenino elettrico-anni50'
 
bambola-anni50'

 





Si lanciavano le “trottole” sui pavimenti facendole ruotare a pìù non posso e vinceva chi riusciva a farle terminare per ultimo, si giocava con "biglie di vetro," ed erano anche belle su tracciati di terra e sabbia, al Passo dell'Oca, a Monopoli, dove si maneggiava denaro in carta moneta miniaturizzata, a "Shangai" e al gioco delle "Pulci".

trottola-anni50'

gioco con biglie di vetro



gioco del monopoli







Gioco  delle PULCI





gioco del shanghai




















Nella foto all'ingresso di Palazzo Sanfront c'è da sx: Beatrice Colli Tibaldi-Rita e Luisa Codrino, in basso a sx: Antonio Colli Tibaldi-Maria Rosa Venturini e Sandro Cavallero, era il lontano 1955'!

portone d'ingresso Palazzo SANFRONT-1955

D’inverno, quando di notte cadeva la neve per noi ragazzi era un'esplosione di gioia, una festa, ce n'accorgevamo appena svegli, sentivamo che qualcosa di nuovo, di strano era nell'aria e attraverso le fessure delle  persiane, giungeva il riverbero di quel candore mentre gli abituali rumori e i suoni parevano imbottiti, rauchi, quasi strozzati e aprendo le imposte al mattino, il panorama si presentava tutto bianco, il cortile, i tetti, gli alberi  e la campagna intorno, mentre la felicità, quell'incanto, quello stupore infantile ci rallegrava e ancora oggi mi porta a fantasticare, a rievocare certi momenti, a risentire la magia della neve. 

 Durante il giorno con un gruppo di amici ci buttavamo sulla soffice coltre per lasciare la nostra impronta, si modellava con la neve fresca un pupazzo: con due carboni s’incastonavano gli occhi, con una carota il naso, un berretto di lana in testa, una sciarpa al collo e una scopa in mano, divertendoci un mondo, ci tiravamo le palle di neve, anche mia sorella Adolfina ci dava una mano.

sorella Adolfina
BEA  col pupazzo di neve-anni50'













A tarda sera, mentre i fiocchi di neve cadevano lentamente e dolcemente sulle strade al chiarore dei lampioni sottocasa, noi ragazzini iniziavamo “la famosa sghìàròla” cioè, a scivolare sulla neve davanti al nostro portone in via Garavelli con gli scarponi, di certo non mancava la pendenza formando sulla neve battuta una striscia di ghiaccio tramite rincorse senza mai cadere, sempre in piedi, formando uno strato sdrucciolevole.


gruppo amici d'infanzia-anni50' cortile Sanfront





Il nostro gruppo di amici festanti, era composto da Teresio Barberis detto “Cile”, Beppe Bona, Vittorio Maccarone “Cico”, Bernardo Frezzato, Mauro Marchese  e tanti altri. 

Negli anni50', quando ci stabilimmo nel palazzo Sanfront, in via Garavelli si svolgevano i lavori della rete fognaria, io e mia sorella Polda saltavamo il fossato per andare incontro a mio padre che tornava dal lavoro dalla ditta Inves, situata ad un tiro di schioppo dalla nostra abitazione. 

Questa strada è stata per me e per noi ragazzini del quartiere un vissuto della nostra gioventù, uno spaccato della nostra adolescenza, una via che sembra corta, eppure contiene km di vita!

CAPITOLO  XIV°--Via Garavelli--descrizione di alcuni personaggi, venditori ambulanti provenienti da paesi limitrofi e inizio della nostra gioventù.

Via Garavelli è stata la più frequentata del paese per il passaggio dei 
dipendenti della fabbrica Inves che transitavano sotto alle nostre finestre al suono della sirena per entrare e uscire dalla fabbrica, mentre le casalinghe frequentavano la "panetteria di Esterina" per acquistare il pane e altri beni alimentari. 

Via Garavelli

Le processioni religiose passavano sempre in questa via, in più, transitavano i camion con rimorchi, era un bel via vai di gente e di mezzi. 

Mi ricordo nei tempi ancora agresti, qualche “donzelletta arrivare dalla campagna col suo fascio d’erba sul capo”, però in mano non aveva “il mazzolìn di rose e di viole” come voleva il poeta “G. Leopardi”, ma il falcetto!


 donna col fascio d'erba-anni50'

Già da bambino, mi piaceva leggere, a scuola su ordine degli insegnanti sovente leggevo poesie, racconti, dettati, a casa, alla sera prima di dormire leggevo le storie di Pinocchio-Pollicino-Barbablù-Biancaneve e i Sette nani-Moby Dick-20mila leghe sotto i mari-Le tigri del Bengala-L’isola del Tesoro- Il Conte di Montecristo-I tre Moschettieri-I Ragazzi della via Paal, Cuore, Robinson Crosuè, I pirati della Malesia e tanti altri racconti  e fiabe che mi facevano sognare e sorridere.

Pinocchio

Cuore
Robinson Cruosè

L'isola del tesoro



Negli anni 1960, uscì di moda per noi ragazzi “l’hùla-hoop”, un cerchio o anello plastificato da far ruotare lungo il busto, con movimento sinuoso e costante, si gareggiava evitando che si fermasse e cadesse a terra; (ps.questo tipo di prodotto fu lanciato sul mercato dagli statunitensi Arthur Melin e Richard Knerr), proprietari di un'azienda di giocattoli, fu messo in vendita nel Luglio del 1958' e riscosse un immediato successo.

hula-oohp per uomini-anni50'


hula-hoop per donne-anni50


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hula-hoop per bambini-anni50'


Poi, arrivò lo “Scoùbidoù”, ma la vera parola scritta in inglese è: "scoob doo"un’insieme di stringhe o fili di plastica che intrecciati fra loro si formavano portachiavi, portaciondoli, si adornavano matite e cose varie; inoltre lo “Iò-Iò”, un dischetto di plastica con avvolto nella sua scanalatura del filo e lo si faceva salire e scendere con il movimento della mano, erano stupidaggini ma per noi a quell’epoca erano delle nuove americanate e ci divertivamo.

fili colorati per "scoùbidoù"

 
scoùbidoù-portaciondoli intrecciati











 
braccialetti



Subentrarono i “Juke-Box”, apparecchio automatico che inserendo delle monete e
premendo alcuni tasti numerati e alfabetizzati, si selezionavano i dischi di musica leggera scegliendo e ascoltando la canzone desiderata e l’unico esistente era ubicato al 
Bar Sport di Pierino e più tardi “ il Flìpper”, un gioco elettrico che è ancora in voga 
nei molteplici Bar e sale da gioco delle grandi città.

JUKE BOX-ANNI 60-70'

ricordando  il  JUKE BOX-ANNI 60-70'






 
"flipper"in compagnia-anni60/70'

A fine estate, ai primi di Settembre arrivavano i primi temporali che non si scaricavano subito con una serie di lampi e tuoni, ma prendevano tempo e trattenevano la loro violenza vagando indecisi per il cielo con un tenue lampeggiare, con un lieve brontolìo, poi il temporale si estendeva e cresceva, cresceva fin quando portava pioggia e grandine per smorzare la calura e rinfrescare l’aria, annunciando l’inizio dell’autunno. 

Nel cielo abbondavano dense nuvole nere, mentre la calura era alle stelle e si sudava ed un forte vento soffiava e scompigliava tutto, mentre i lampi saettavano improvvisi nel cielo come lingue di fuoco,  il rumoreggiare del temporale in arrivo si udiva sempre più forte, provocando tuoni e fulmini con intenso fragore, dilatandoli nell’aria con grande rimbombo e con gran frastuono spaventandoci, sapendo che dà qualche parte un fulmine poteva aver colpito qualche casa o qualche cosa. 

La pioggia scendeva a dirotto e la grandine alcune volte la seguiva sollevando polvere dal suolo, riempiendo i cortili, canali di scolo, grondaie, fognature saturandoli.

 Alcuni  anziani si facevano il segno della croce, recitando la seguente filastrocca: “S. Barbara benedetta liberaci dal lampo e dalla saetta” e in tempi non tanto lontani, qualcuno, conficcava nel terreno due scope a forma di croce per scacciare i pericoli e mentre il brontolìo del temporale si allontanava, l’aria diventava più fresca ed all’orizzonte in lontananza s’intravedeva balenare  l’arcobaleno multicolore, prodigio della natura!

"arcobaleno" dopo il temporale estivo

 
Il S. Natale a casa nostra era molto sentito, e in tutto il paese l’aria ne era impregnata, tra il suono della “Bùndèta” ed i preparativi per l’imminente pranzo natalizio del 25 Dicembre e da fanciullo, noi fratelli più piccoli aspettavamo con ansia l’arrivo del “Panettone Motta” spedito tramite posta da mio ”zio Teodoro” fratello di mia mamma, di cui, l'avevo menzionato all’inizio del racconto, ed era confezionato con un bel cartone blu, contornato da dolciumi vari, torroncini, cioccolatini, caramelle e leccornie varie  e se qualche giorno 
prima del 25 Dicembre era  caduta la neve ad imbiancare le strade, i tetti, gli alberi, i campi, per noi familiari era già festa!
 
Panettone Motta-anni50'

Il caro zio quando venne a trovarci, officiò la S. Messa nella cappella privata delle contesse Olivazzi ed io feci da chierichetto, era l’anno 1955 e lui era già molto malato, io avevo 8anni. 

A Natale, si allestiva il presepio  ed era molto gettonato, invece ora, 
vanno in voga
 alberelli di natale plastificati addobbati con file di lampadine multicolori, con accensione ad intermittenza avvolte sulle ringhiere dei balconi. 

Il nostro presepio era composto da una bella capanna e da statuine di antica  data e con dovizia certosina le piazzavamo nei posti giusti, il muschio era vero, non finto come ora nei supermercati e noi bambini lo raccoglievamo nei boschi ai piedi di vecchi ceppi o radicati su vecchi muri come fossero vecchie tappezzerie.

presepe natalizio-anni50'

 Quando le feste natalizie terminavano con la successiva Epifania, "festa della Befana del 7 Gennaio" la tristezza s’insinuava tra noi, poi, ecco arrivare il Carnevale e ogni nostra malinconia svaniva  gioiendo per altre prossime festività. 

In via Garavelli negli anni 50/60', al mattino, in alcuni giorni della settimana si avvicendavano con grandi richiami i venditori ambulanti di “Ricotta e latte” e strillava, ”Sèiràs-Sèiràs” in dialetto, (siero), usando la bicicletta come mezzo di trasporto; “l’Acciugaio”, un certo sig. Giovanni Pomero, gridava, “Ancìuèè-Ancìuèè, ” in dialetto, (acciughe) girando con la sua vespa, scomparso nel 1981' a 75anni.

bicicletta del lattaio-anni50'
 
Giovanni Pomero-
 











 Un tizio di nome Giuseppe, proveniva da Casale Monferrato in bicicletta e vendeva burro e formaggio, aveva un vassoio fissato sul portapacchi posteriore con lastre di ghiaccio dove teneva il burro al fresco, mentre sul portapacchi anteriore della bicicletta c'era il formaggio. 

In un secondo tempo sostituì la bicicletta con la lambretta, usando due cestoni, uno davanti e l'altro dietro, sempre con la stessa merce.

 

Un'altro eroe di quell'epoca fu un certo Caldi Ermelindo e sua moglie di Felizzano,  vendevano merceria con un carretto di legno munito di due antine superiori dove era custodita la merce e lo trainava manualmente con le due stanghe davanti e quando si spostava da un paese all'altro con grande sacrificio, trascinava il suo mezzo con una cinghia legata al collo, è scomparso nel 1981', all'età di
 69anni.

Ermelindo CALDI

carretto a mano di "merceria"

 











Una cara donna anziana vendeva frutta e verdura, si chiamava Margherita Accordon  detta  “Rita la Càplìn-nà” e proveniva da Rocchetta Tanaro col suo carro trainato da un vecchio cavallo, donna dedita al sacrificio per il suo lavoro e per il suo bel quadrupede, perchè la distanza da percorrere tra il suo paese e il nostro era ed è di circa 10km. 

Alle prime luci dell'alba era già in viaggio per arrivare a Quattordio e non solo, ma sostava anche a Felizzano e Solero, questa donna indomita e coraggiosa, percorreva le vie del paese strillando a pieni polmoni e in dialetto  il seguente rituale: "pùm, pèièr e pùrtigàl, dùma dòni, dùma dòni", ed era tutta una festa! 

Portava in testa un bel cappello di paglia, alcune volte arrivava con un foulard legato alla nuca come una "bandana" che usano i ciclisti corridori al giorno d'oggi, per questo tipo di acconciatura era sopranominata, "Rita la Càplìn-nà" e chiacchierava e rideva con le donne del posto mentre acquistavano frutta e verdura.

Trattava bene il suo cavallo dal mantello grigio punteggiato da piccole macchie scure, gli dava da mangiare fieno fresco e abbondante che teneva di scorta sul carro tramite un sacco di tela a tracolla legato con un cordino, perchè, oltre "all'intesa animale e padrona" era il suo unico mezzo di trasporto a quattro zampe.

Col passare del tempo in ogni paese dove si fermava "Rita la Càplì-nà" conosceva tutti e qualche  volta era invitata a pranzo dai suoi clienti a base di polenta e altre leccornie, verso sera, questa cara donna e il suo vecchio cavallo, ripercorrevano stancamente la via del ritorno col carro vuoto e felici di avere trascorso una buona giornata, mentre la lanterna a petrolio appesa sul retro del carro penzolava per segnalare col suo lume acceso la presenza del mezzo.

 Questa figura mitica e caratteristica di allora, intraprendente e coraggiosa che io ho conosciuto da bambino, ogni tanto affiora nella mia memoria come un ricordo lieto e genuino di un mondo ormai scomparso e anche lei è scomparsa nel 2007', all'età di 93anni.


"Rita la càplì-nà-anni50
'


RITA in versione familiare

 

Un personaggio singolare da non confonderlo con gli ambulanti artigiani, io lo definerei un "ambulante ciclista" di nome G. Battista e Roberto di cognome detto "Guerra".



Roberto Battista 

ciclista ambulante-anni50











Costui, era di Piepasso e la sua passione era girare l’Italia da nord a sud in bicicletta,
con le  mollette da biancheria appiccicate sull’orlo dei pantaloni per essere più comodo nel pedalare e per non sporcarli a contatto con la catena e ogni tanto giungeva nel nostro paese a raccontare le sue imprese, dicendo di aver visto a Roma in Piazza S. Pietro “il Papa”, esibendo una fotografia e  mi pare che avesse già i suoi anni, era un pò così, tra il “buontempone ed il lunatico” ed aveva un debole gastronomico: era ghiotto “di riso e gorgonzola” fin quando un giorno ne fece indigestione e dovettero portarlo all’ospedale per occlusione intestinale, morì nell’1987.  

“L’arrotino”, in dialetto, (el mulitta), affilava con la sua mola a pedale, lame, coltelli e attrezzi vari.

  
"L'ARROTINO"-anni50'

L’ombrellaio”, in dialetto (l' parapiuvè), riparava ombrelli difettosi,  


"L'OMBRELLAIO"-anni50

Un’altra figura tipica affiora alla mia memoria è di un certo sig. Mantelli Giuseppe giunto un bel dì, di quale anno non ricordo nel nostro paese da “S. Salvador, America Centrale”. 

Non so tra quali peripezie riuscì ad intraprendere il viaggio verso l’Italia e distribuendo medagliette, santini religiosi, riuscì  con l’aiuto di alcuni nostri concittadini, ottenere un lavoro alla ditta Alfacavi. 

Non ho mai chiesto cosa facesse in quel paese così lontano e così diverso dal nostro, il perchè e il per come, ma constatai che quest’uomo era una brava persona dal carattere dolce, mite, educato, gentile e lo conobbi al circolo aziendale di “Nino il biondino” diventando amici, poi col passare del tempo e col mutare della nostra vita mi scordai di lui. 

Un bel giorno, sbirciando alcuni bollettini parrocchiali del paese, lessi con grande rammarico che Mantelli Giuseppe, scomparve nel 1991, all’età di 79anni.

Beppe Mantelli






Riprendendo il discorso da via Garavelli e dall’abitazione della famiglia Palazzolo, i vicini di casa erano i sig. Cavallotti, la fam. Bava con numerosa prole, e Bona Pietro , “Pidrinèt”. 

Uomo piccolino e magrolino, aveva tre figlie non sposate e vendeva filo da cucire, bottoni e cerniere di ogni tipo e con la bicicletta dotata di un portapacchi sul davanti, girava con una valigetta contenente il campionario da vendere in paese e dintorni, è scomparso nel 1977. 

Inoltre c'era anche il "materassaio", portava con sè su un carretto il marchingegno per cardare rendendo soffice la lana del vecchio materasso per poi ricucirla in una nuova tela comperata per la bisogna; inoltre c'era "l'impagliatore di sedie", (l' cadreghè). 





MATERASSAIO
L'CADREGHE'

















Provvisoriamente ho citato alcuni artigiani, forse dimenticandone qualcuno, questi artigiani o piccoli commercianti svolgevano il loro lavoro andando nelle borgate e nelle case. 

Alcuni passavano sovente e la loro presenza diventava  familiare e ravvivava la vita dei cortili, anche perchè erano fonte d'informazione. 

Raccontavano aneddoti e novità di altri borghi  spesso ingigantendo e drammatizzando situazioni che di normale avevano ben poco. 

In questa contrada esisteva la “piccola bottega del ciabattino” Renzo Ercole e la moglie Mariuccia Badella, brava gente e lavoratrice, uomo molto riservato di poche parole e gran bocciatore sul campo della bocciofila del circolo aziendale accompagnato dai suoi amici, i fratelli Ottonelli e Pellia Giovanni.
Pellia G.


Sopra di loro abitava “la mitica Maestra in pensione” Albina Pugno, zitella, insegnante, espletava molteplici lezioni supplementari ai vari alunni delle scuole elementari e scuole medie, bisognosi di colmare le loro lacune su certe materie e tra i quali, anch'io, preparando varie generazioni di giovani studenti per acquisire i diplomi delle scuole professionali, tra le quali le mie sorelle Billi e Dolli, che diedero le prove d’esame a Nizza Monferrato e a S. Damiano. 

La cara e indimenticabile maestra A. Pugno, era una donna educata, gentile, corretta, ligia al dovere, molto paziente, indulgente e tollerante verso i suoi alunni, purtroppo anche lei ci lasciò per sempre nel 1972 all’età di 91anni.

 
ALBINA  PUGNO


CAPITOLO  XV°--Via Sella e Via Solferino--descrizione dei vari personaggi  e della Scuola Elementare

Tra la botteguccia del ciabattino Renzo e l’inizio di via Solferino, s’incunea per un
 breve tratto via Sella, dove abita la famiglia Devecchi
 Enrichetta 

VIA  SELLA
VIA  SOLFERINO








“Dalman”, mamma di Enzo il più grande e Mauro assiduo “giocatore di foot-bool”, il quale negli anni della nostra gioventù fu un buon calciatore nei vari tornei diurni e notturni di calcio  in varie squadre, mentre il papà Devecchi Teresio “al barbè”, fu eccellente autista personale dell’ing. Pettazzi titolare della ditta Inves, scomparso nell’1982 a 71anni. 

Teresio Devecchi"-1932'
Mauro Devecchi
















Via Solferino è una strada stretta dove si affaccia il negozio delle sorelle Maddalena e Giuseppina Laiolo e si restringe dopo poche centinaia di metri perdendosi in piccoli cortili dove abitavano, le famiglie: Cordero Teresio,


 SORELLE LAIOLO
Mariano Venturini
Teresio Cordero
Giovanni Morandi











i Morandi, i Venturini, il Geom Carrà, Meda Maria, Amerio Teresa e altre ancora. 

Un punto nevralgico di via Garavelli è piazza Marconi dov’era ubicata la vecchia “Scuola Elementare” ormai ricostruita ex novo da alcuni decenni più moderna e più confortevole.


i "PIONIERI  MURATORI" costruttori della scuola elementare-1920'


SCUOLA  ELEMENTARE--ANNI 50'


Scuola Elementare-anni '2000

Nel 1953' quando iniziai frequentarla, l'edificio aveva un'altro aspetto, le aule erano spaziose e luminose, dai soffitti molto alti e ampi, rampe di scale portavano al 2° piano dov’erano sistemate le aule della 4a e 5a e nei banchi erano ancora inseriti i calamai porta inchiostro e si scriveva col pennino da lire 5, acquistati dal sig. Serafino.

banco con calamaio-anni50'

pennino-anni50'









L’inchiostro si asciugava premendo un tampone di carta assorbente e qualche anno dopo, credo verso il quarto e quinto anno s’iniziò ad utilizzare le penne a sfera, le famose “Biro Bic  che prende il nome del suo inventore, il giornalista ungherese "Làszlò Birò"!  

Per i meno abbienti, il “Patronato” donava a prezzi ribassati o gratuiti quaderni a righe e a quadretti col bordo delle pagine a righe rosse con  copertina rigida di colore nero e timbrati.

quaderno-anni50'
 



Anche la cartella era rigida e nera con due chiusure metallizzate, oppure era marroncina, un marrone  “smarvò” cioè, sbiadito con incluso l'astuccio porta 
pastelli o portacolori da utilizzare per disegnar e marcando gli spazi, mentre il grembiule era di colore nero con il collettino bianco rigido anch’esso, adornato con un fiocco azzurro, pantaloni corti e calze lunghe fin sotto alle ginocchia e sandali ai piedi, tutto ciò era il corredo scolastico del 1953 ed avevo 6 anni. 

cartella rigida-anni50' 
"cartella "-anni50'
ASTUCCIO  PORTACOLORI


Gli insegnanti, erano: il maestro Fiorino Roggero di Piepasso, il quale, arrivava

tutte le mattine con la mitica moto, il “Galletto di colore giallo” mezzo di trasporto già citato in precedenza per don Teodo, ed era un lusso possederlo. 

Uomo dinamico, dal carattere burbero, incuteva timore e soggezione per le sue maniere rudi e forti, dall’aspetto austero e qualche scappellotto non lo lesinava a nessuno ed insegnava nelle classi di 4a e 5a.

Fiorino Roggero

Monti Margherita













La maestra Margherita Monti dirigeva le classi 1a- 2a e 3a, anche
lei severa, mi bocciò in 2a, mentre  il maestro Ottavio Ercole conduceva il suo iter scolastico con spirito autoritario. 

 Aveva un figlio di nome Leone Stefano, debole di salute ma con forza di volontà non comune riuscì a prepararsi per superare brillantemente come privatista l'esame di licenza liceale meritandosi una borsa di studio, sfortunatamente il 27 Ottobre del 1962 morì a 27anni all'ospedale civile di Alessandria.


Ercole Leone Stefano
Ercole Ottavio


Mia sorella Leopolda ed io, per entrare a scuola dovevano trascinarci, ero assai recalcitrante,  un po’ la odiavo e un po’ perché ero timoroso degli insegnanti, qualche volta piangevo e mia sorella pure!

LEOPOLDA e ANTONIO


ANTONIO -SCUOLA  ELEMENTARE

In certe classi c’erano dei super alunni, tra i quali spiccavano: i Venturini, i Bigliani, Sperandio, i Fadin, Iseo Stivanin e qualcuno di loro era sempre in castigo dietro alla lavagna con qualche zuccata e qualche sberla assestata dall’insegnante per la loro vivacità un po’ zingaresca.


Foto di gruppo-Scuola Elementare-Anni 50'


CLASSE  MISTA


Lo studente migliore in assoluto per intelligenza e per la massima applicazione agli studi è stato il nostro caro amico e coetaneo Renato Barberis del “sobborgo Rina” in via Padana Est, eccelleva in tutte le materie con il massimo dei voti ed il “Direttore del Provveditorato agli Studi della prov. di Alessandria” lo premiò con un encomio solenne, consegnando una “strenna economica di lire 500” per i suoi meriti scolastici.

Maestre e Maestri Scuola E



Barberis Renato



lavagna- anni50

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 alunni con la maestra Gertraux-anni50'


Piazza Marconi  per noi ragazzini è stata un secondo campo di calcio giocando a pallone al pomeriggio e alla sera, accompagnati quasi sempre
 dalle lamentele dei vicini per le innumerevoli pallonate stampate rumorosamente sui muri di facciata delle loro case, ma noi adolescenti arroganti e incivili, imperterrito continuavamo a pallonare. 































Qualche volta interveniva la guardia comunale, il sig. Pregno di Felizzano detto “merda pìviòn”, perché capitava nel momento giusto nel posto sbagliato, sottraendoci la sfera per via del divieto e di conseguenza con mestizia e scuse, s’intercedeva in Comune al cospetto del Sindaco, il quale, con la solita bonaria ramanzina ci restituiva il maltolto. 

Piazza Marconi nei pomeriggi estivi, non solo era luogo d’incontro fra noi ragazzi ma alcune volte scambiavamo poche parole con le donne anziane che si trovavano sedute 
sulle panchine o appoggiate
alla ringhiera della piazza.

SCUOLA  ELEMENTARE-Piazza  MARCONI-ANNI 50'

Di solito c’era la sig.ra Amerio Teresa “Teresìn d’là cica” e la sig.ra Meda, mamma di Giovanni, il “secondo gestore del circolo aziendale”, da tempo vedova, vicine di casa in via Solferino.
Mi colpiva la vivacità nel dialogare dell’anziana donna Teresa, era alta, magra, gentile e sorridente, dal carattere allegro, le sue risposte erano pronte ed ironiche, il suo viso era dolce  dall’espressione bonaria, occhi espressivi, mentre le rughe che solcavano il suo volto racchiudevano il suo passato. 
Aveva  candidi capelli bianchi striati di grigio raccolti sulla nuca  da un fermaglio, si esprimeva gesticolando stancamente le piccole mani dalla pelle avvizzita, mentre il sole baciava quella bella testolina canuta.

MEDA MARIA

AMERIO  TERESA









Ora, ripassando davanti alla piazza mi sembra di rivedere la cara vecchierella che se ne stava lì, seduta su quella panchina a trascorrere i pomeriggi estivi, immersa chissà in quali pensieri. 


CAPITOLO  XVI°--descrizione  del  Cinema  Comunale  e dei  personaggi e  via dei Fiori.

Vicino alla scuola, sempre in via Garavelli, di fronte al palazzo Sanfront, il  19 Dicembre del 1955' è stato inaugurato nel salone delle scuole il "Cinema Parrocchiale", diventando po“Cinema Comunale”, ormai sostituito da tempo dalla nuova scuola elementare, procurando al nostro paese un sano e morale divertimento adatto a tutti.

Era uno stanzone dove proiettavano vecchi film in bianco e nero: dalle “gesta di Ercole e Sansone, agli Indiani e Cowboy” e duravano alcune ore, come il “film Ben-Hur”, che durò più di quattro ore spezzonato in due giorni ed ogni tanto s’interrompeva per la rottura della pellicola. 

Si pagava lire 50 per entrare e il cassiere era Bona Antonio "Tunìn", nel locale alla sera c'era tutto il paese e per noi avere un cinema anche sgangherato, era un lusso, significava riunirsi, stare  insieme, socializzare, si rideva o si piangeva all’unisono secondo le trame del film e quando c’era la pausa tra il 1° e il 2° tempo, le luci si accendevano e ci guardavamo in faccia un po’ inebetiti, chiacchierando e scherzando, sbraitando con allegria. 
BONA  ANTONIO

Per sedersi  utilizzavamo vecchie panche di legno e sedie impagliate, mentre nel periodo invernale il riscaldamento proveniva da un fumoso stufone collocato al centro del locale con un lungo tubo di scarico, il fumo era tanto, il freddo idem, ma nonostante il disagio, eravamo ben coperti da maglioni e cappotti e la nostra felicità era alle stelle.


Alberto Venezia davanti al Cinema Comunale-1958'


Tornando al discorso del cinema, la prima sala cinematografica dove si proiettavano i primi film, il locale era situato nel palazzetto Olivazzi di fianco al bar sport di Patrucco e Pierino Demicheli, dove abitava la mia famiglia.


SALA  Cinematografica Olivazzi-pz.Nuova-


Via dei Fiori è una strada interna e di breve tratto, che s’incunea parallela a via Garavelli e termina di fronte ad una serie di piccoli cortili ed un grappolo di case disposte a raggera.

VIA  DEI  FIORI
 
In questo fazzoletto di territorio abitavano: i sig. Zallio Anna, “Annetta”, “mamma di Angela” col marito Preda Ernesto “Ernestìn, gran giocatore di bocce”, scomparso nel 1987 all'età di anni80', Pino Venezia e la sorella Francesca, Giuseppe Mantelli e la moglie Teresa Zallio, “sarta e pia donna”, il marito è deceduto nel 1981' a 71anni, mentre la moglie è deceduta nel 2001' a 92anniCristoforo Mantelli “papà di Franco”, Esterina ”la panettiera”, Masuelli, Devecchi Ugo e Aldo Barberis, “papà di Teresio”, abile cacciatore, sempre con la sporta piena di lepri e fagiani suoi trofei di caccia, scomparso nel 1996 all'età di 75anni e la moglie Laguzzi Maria, scomparsa nel 1999' a 74anni, tutta brava gente, onesta e lavoratrice.


CONIUGI  PREDA

Angela Preda

TERESA ZALLIO



Giuseppe Mantelli




Maria  LAGUZZI
CONIUGI  DEVECCHI  
Aldo Barberis





CAPITOLO  XVII°-- prolungamento di Via Garavelli  e descrizione dei vari abitanti  e relativa  fabbrica  Inves

Tra via Fiori e via Garavelli, troneggia la villetta del compianto Pierino Mortara scomparso prematuramente nel 1979 a 57anni, un brav’uomo ed un “abile sarto” nel 
confezionare abiti su richiesta dei clienti del paese, tra i quali anch'io. 


Piero Mortara
Via  Garavelli--a dx  entrata ex Canonica











Salendo via Garavelli, altre case legate fra loro da eterna amicizia si comunicano e si fronteggiano tra la Panetteria dell’Esterina e il negozio di vestiti gestito dal sig. Girolamo Iguera e consorte; più in là, la famiglia Berruti Secondo, l’unico ed inconfondibile “arbitro di calcio”, arbitrò innumerevoli partite riguardanti tornei diurni e notturni, incontri amichevoli con cipiglio autoritario ed eleganza è stato il “Re del Fischietto Quattordiese” e marito esemplare della sig.ra Devecchi Rosina, mamma di Franco, donna tuttofare, dalla parlantina gagliarda e spiritosa, purtroppo è deceduta nel mese di Luglio del 2007' a 85anni.

ROSINA Devecchi
 
BERRUTI Secondo
 









Accanto, abitava l’infaticabile e brav’uomo Ginetto Ponzano, il “piccolo manutentore” di biciclette e venditore di bombole di gas, uomo intelligente e dotato di grande manualità e abilità nel ripristinare bici, motorini, vespe e lambrette.

La sua botteguccia degli anni50' internamente non l'ho mai frequentata ho visitata, ma, la immagino con queste foto scattate proprio alcuni giorni fa qui Nizza Monferrato dove esiste l'unica vecchia bottega anni50del ciclista attuale, molto giovane, Gianfranco Bergamasco mentre, il vecchio ciclista e proprietario del negozio è ormai defunto da alcuni anni; ricapitolando il discorso, l'interno della bottega di allora era ed è ricco di vari oggetti: dalle vecchie biciclette appese al muro, alcune  da collezione, arnesi da lavoro, quadri sul muro che ricordano vecchi corridori dell'epoca, un'antica radio e un vecchio grammofano con cui il vecchio ciclista  "Ginetto" lavorava in compagnia di canzoni e notizie del momento!!.

..Che bei ricordi, ricordi del passato che purtroppo non tornano più e più m' immedesimo in quella armonia arcana e struggente degli anni 50/60' che ricorda la mia giovinezza infantile, il mio animo è colmo di gioia e malinconia.


ANTICO  GRAMMOFONO


VECCHIE  BICICLETTE

OGGETTI  DEL  PASSATO







 

VECCHIA  RADIO






 
GINETTO PONZANO



Subito dopo, risaltava la “Panetteria di Pasquale Poncino”, papà di “Renato l’Alpino”, sordo come una campana, simpatico e burlone un po’ come il figlio.
Le sue impastatrici funzionavano ancora con vecchi congegni a cinghia dopo aver sagomato manualmente la pasta per farne pane, le infilava nel forno a legna con una lunga pala di legno per la cottura, tutto ciò era molto familiare, l’ambiente, la farina bianca sparsa un  pò dappertutto impregnavano l’aria facendoti sentire il buon profumo del pane appena cotto.

RENATO PONCINO




Impastatrice-ANNI 50'




"fornaio"-anni50'
  





 









 


Le donne del paese, specialmente le mamme, nel periodo Pasquale ed in altre festività si facevano cuocere delle paste, anzi le solite “paste a forma di stella a cinque punte” in formine tutte uguali ed era la gioia dei bambini e dei ragazzi. 

Allora, i fornai si alzavano prestissimo al mattino, al giorno d’oggi, i forni, ben pochi sono a legna ma elettrici, ed il pane in alcune negozi di grande respiro, come per esempio i supermercati e le grandi panetterie e già stato distribuito da ditte produttrici più grandi e di conseguenza il singolo panettiere, la singola panetteria sta scomparendo! 

Dopo la panetteria del sig. Poncino, ecco la grande fabbrica Inves, produttrice di vernici dove lavorava e lavora ancora oggi buona parte dei quattordiesi, tra i quali hanno lavorato mio padre, mia sorella Leopolda e mio cognato Ivo Torti.

 Il titolare era l’indimenticabile Ing. Pettazzi, alto, magro, dal fisico asciutto, promotore e guida unitamente col cognato Ing. Fracchia dei primi insediamenti industriali di Quattordio. 

Contribuì con tenace costanza alla trasformazione della zona, da rurale a industriale, procurando sostentamento e benessere per centinaia di famiglie.

Fu Sindaco di Quattordio per diversi anni e Presidente della Scuola Materna per lungo tempo, ora, il nuovo proprietario è una multinazionale americana, purtroppo i tempi
cambiano velocemente.
 Enrata DITTA  INVES- anni '50-'2000



  



Ing.Pettazzi Cesare-"











LAVORATORI  INVES-ANNI 50'

In quel periodo le fabbriche, non utilizzavano ancora i filtri di scarico
smaltimento dei vapori e fumi dei prodotti trattati ed allora l’olezzo che emanavano le vernici lavorate, si propagavano nell’aria inquinandola e solitamente se ne accorgevano di più gli estranei, cioè coloro che arrivavano in paese dall’esterno, come i parenti e gli amici, i quali, accennavano dell’inconveniente aereo, loro, lo sentivano già a km di distanza, mentre noi abitanti del posto, ormai eravamo assuefatti e  pensare che io e la mia famiglia abitavamo a 100mt di distanza. 

Ai margini della ditta Inves, abitava la fam. Francesco Cordero, “Cesco” e la moglie Ida Devecchi, donna umile, modesta, sempre sorridente, papà e mamma di Carla e Guido, mio compagno di Leva, gran brave persone.
Guido e Carla Cordero

IDA  DEVECCHI
 

CESCO  Cordero

Dirimpetto a loro, il vicino di casa era Federico Venezia padre dei fratelli Angelo e Franco con la moglie Devecchi  Rosa
gran lavoratori persone semplici e gentili, il papà è scomparso nel 1972 all'età di 65anni, mentre la mamma è deceduta nel 2003' a 94anni.
 
Venezia  Federico

ROSA  Devecchi
Angelo Venezia

Gianfr. Venezia


Via Garavelli, negli anni 1960 era un ostacolo, un terno al lotto per il transito dei camion con rimorchi che salivano e scendevano per caricare e scaricare le merci nella ditta Inves.

Mi ricordo, che ogni qualvolta i 2 mezzi di trasporto s’incrociavano in quella mezza curva o specie di “S” striminzita, tra la panetteria Esterina ed il negozio di Girolamo Iguera, dovevano fermarsi per non urtarsi, essendo la strada non idonea per le loro dimensioni e allora gli autisti scendevano dai loro mezzi tra imprecazioni, bestemmie ed improperi vari,  riuscivano con un gioco di tavole di legno inserite sotto le ruote dei rimorchi e con molta perdita di tempo ed affanno, alla fin fine a procedere, riprendendo il loro transitare e finalmente qualcuno col passare del tempo aguzzò l’ingegno e capì che bisognava utilizzare una nuova segnale a senso unico.


CAMION con Rimorchio-Ditta INVES

 Le vie principali che vi ho elencato, sono quelle rimaste più impresse nella mia  memoria, perchè lungo queste strade pulsava il cuore del paese scandendo il tic-tac del nostro vivere, della nostra esistenza, racchiusa in uno spaccato della nostra storia paesana, conoscendo persone gentili a me care, veri Quattordiesi, vie che sono state angoli di gioco, di giorno e di sera con gli amici, compagni e coetanei, conversando, bisticciando, scherzando, schiamazzando, con semplicità e felice adolescenza. 


CAPITOLO  XVIII°--Via  Pragelato  e  Via Trento--descrizione di luoghi- persone  e  squadre  di  calcio

Oltre alle vie sopracitate, altre contrade sono ancora da definire tra le quali via Pragelato, così chiamato per il freddo che si insinua sempre nella parte bassa di questa
strada
via Pragelato-anni2000'


Via Pragelato- Anni 50'











e dimoravano le famiglie:  Bona Giovanni, autista della ditta Invex e venditore di
bombole di gas e la figlia “Silvana”, dai capelli biondi, carina,  la ricordo quand’eravamo studenti e frequentavamo con altri coetanei le scuole superiori di Alessandria, aspettando al mattino presto davanti all’ex Municipio, il pullman del sig.”Mortara di Refrancore” che ci portasse a destinazione; 
Rita Capra, gran brava sarta, ritagliava, rammendava, creava vestiti di alta qualità e di buona stoffa, dalle gonne alle giacche, dai pantaloni ai cappotti su richiesta dei migliori clienti Quattordiesi, sorella di Natale,
Dario e Pietro “Pidinu”.

RITA  CAPRA

Pietro  CAPRA


Bona Giovanni


Inoltre c’erano le famiglie Bigliani Felice detto “Cino”, fratello di Giuseppe “il sindacalista” e in un secondo tempo si stabilì la famiglia Devecchi Pietro, papà delle sorelle Nadia e Iolanda, care amiche di gioventù.

Devecchi-Iolanda


Devecchi Nadia

Capra Natale-Bigliani Felice


CAPRA  DARIO
















Dalla via Pragelato, si entrava nella strada circonvallazione verso fraz. Piepasso e paesi limitrofi e parallela ad essa, scorre il “Rio Chiesetta”, allora sormontato da un provvisorio piccolo ponte di legno detta la “passerella”, era una scorciatoia per entrare nel futuro “Villaggio del Sorriso”.

VILLAGGIO  DEL  SORRISO  ANNI 50-60'



"RIO CHIESETTA"
VILLAGGIO  DEL  SORRISO  ANNI 60-70'

Nel 1973, il ponticello fu sostituito da un ponte nuovo in cemento e ultimato con strada asfaltata. 
Nel nascente villaggio, era stato fabbricato tra il 1958/59 il primo lotto di  otto bellissime villette, col "piano Fanfani" per i dipendenti degli stabilimenti Inves-Invex o casette a schiera dell’Ina-Casa, un consorzio di abitazioni già frequentato da alcune famiglie Quattordiesi tra le quali:  Bava, Traffano, Venturini, Lupano, Vergano, Mondo, Gotta, Renes,  ecc., mentre la prima villa in costruzione fu di Damasio Antonio, papà di Domenico e tutt’intorno campi coltivati, dove noi ragazzini, si giocava a guardia e ladri, tutto il resto era ancora da costruire, ora, si vedono nuovi palazzi, condomini e ville che dominano sul Villaggio del Sorriso.

GOTTA

Pietro Traffano

Damasio Antonio


Presso la sponda del Rio Chiesetta che s’affaccia sulla circonvallazione ed il muro di cinta della ditta Invex, c’era allora ben radicato nel terreno un albero dai “piccoli frutti rossi”, detti in dialetto, i “Pùmìn rùs” e quando erano maturi, io e amici salivamo sulla pianta per farne scorpacciate, erano dolci e saporiti. 

La statale Aessandria-Asti, che collega Quattordio-Felizzano è suddivisa in Padana Est, verso  Alessandria e Padana Ovest verso Asti.
VIA  TRENTO

 
 PADANA EST-Stat. AL


ex campo di calcio anni'50-ora giardino pubblico-anni2000'

Entrando in via Trento dalla statale Alessandria, dopo pochi metri sulla destra,  esiste da sempre il “vecchio campo di calcio”, ora, trasformato in giardino pubblico o parco giochi, frequentato da bambini accompagnati dai genitori.

 Ai nostri tempi, quel bel prato erboso ha visto correre e giocare al pallone anche “a piedi nudi", generazioni di giovani.

Squadra di calcio di giovani amici-anni60'

Si disputavano tornei, s’incrociavano squadre dei paesi confinanti, tra i quali: Felizzano, Solero, Masio, Rocchetta Tanaro e tante altre e s’affrontavano anche formazioni composte da lavoratori delle ditte locali e nello stesso tempo antagoniste, tra le quali, Inves/x, Alfacavi, Cavis e anche da “Celibi e Ammogliati”.


SQUADRA di Calcio  Ditta INVES-Anno 1962'



squadra di calcio Inves-1958'



la 1a squadra di calcio "Inves"-1950'

squadra di calcio Alfacavi
 
Partite molto combattute con tanto di tifosi che si assiepavano ai bordi del campo, specialmente sulla sponda adiacente alla strada statale all’ombra di anziani gelsi che parevano guardie mummificate e ogni qualvolta il pallone calciato male terminava in strada, io e compagni correvamo a raccattarla col pericolo di essere investiti dalle automobili di passaggio

 Tifose Quattordiesi-LUISA-BEA-FRANCA

Oltre alle partite giocate in casa, nel periodo estivo si programmavano tornei notturni che si disputavano in altri paesi tra i quali: Felizzano, Solero, Masio, 
Viarigi, Montemagno e Portacomaro, ed erano incontri molto sentiti e con entusiasmo, perspicacia e peripezie varie, si giungeva sul posto con qualsiasi mezzo, dalla bicicletta al motorino, dalla vespa al vespone o in automobile guidate dai più grandi e in autostop. 

Il tifo era tanto e le botte erano all’ordine del momento, soprattutto per l’arbitro, mentre le zanzare spadroneggiavano con il loro contributo di punzecchiature, rendendoci ancor più irascibili, era tutta una festa sugli spalti, un tripudio di schiamazzi, d’ilarità, di lazzi e sberleffi, pernacchie e sfottò verso gli avversari. 

Tornando verso casa, dopo le disputate partite di calcio il più delle volte a piedi o in bicicletta, in quelle belle serate estive lungo le strade costeggiate da campi e boscaglie, in lontananza si sentiva nel silenzio della sera il “frinire delle cicale ed ei grilli”, mentre decine di “lucciole con i loro addominali opalescenti”, danzavano intorno a noi come piccoli lumini nella notte, tenendoci compagnia. 


       
CAPITOLO  XIX°--Statale  Pdana Est--Borgo Rina e descrizione dei personaggi


Ritornando alla statale Padana Est, in "borgo Rina”, dimoravano le famiglie: Venezia Emilio e Angelo, dirigenti Invex, Zallio Stefano, “Stevu d’gàlin-nà”, colui che suonava i “piatti nella banda musicale” e il fratello Giacomo, falegnami. 

ZALLIO Stefano

Il padre Francesco, “Cichin d’gàlin-nà e Carradore”, fu “cultore di api e produttore amatoriale di miele” prodotto col nettare di fiori d’acacia, vissuto a lungo fino alla veneranda età di  95anni, era l’uomo più anziano del paese.

Simbolo del "carradore"
 Zallio Francesco 









Altri vicini di casa erano:
 Rina Bandino, Penno Luigina, non vedente da un occhio, zitella, ma gran ricamatrice con mansioni d’insegnante alle ragazze per chi voleva imparare ed intraprendere il mestiere, Giovanni Berta, Ponzano, ”papà di Pepito”. 

Più avanti, ai margini di un boschetto con accanto la vecchia fornace di Quattordio con la sua ciminiera ancora intatta, che s’intravede dalla statale, c’è l’abitazione della famiglia Barberis Giovanni, papà di Renato mio amico e compagno di Leva, la mamma Maddalena Anleri, simpatiche e bravissime persone, ormai scomparse nell’1988 e nel 2001. 
-vecchia fornace

 Anleri Maddalena
Barberis Giovanni

Con loro abitava Anleri Francesco “Cichin”, fratello della mamma di Renato, una gran brava persona, lo conoscevo di vista perchè sovente era al Bar Sport di Pierino con la sua carrozzella da invalido a giocare a carte e discorrere con gli amici. 

Uomo dall’aspetto serioso, educato, simpatico, intelligente ed in un secondo tempo visse con la consorte Enrichetta Devecchi, stabilendosi al Villaggio del Sorriso, non si lamentò mai della sua invalidità con i  compagni e amici, causata da un infortunio sul lavoro subito ad una gamba nel lontano ‘1937 alla fornace di Felizzano del sig. Delfino e tramite complicanze successive, rimase per sempre invalido, trascorrendo con abnegazione, sacrificio, costanza, forza di volontà e semplicità la sua vita in carrozzella, manovrata dalla forza delle sue braccia, fino alla morte accidentale casalinga avvenuta il 14/02/2003 all’età di 88 anni.
Anleri Francesco











CAPITOLO  XX°--Statale Padana Ovest--Rocca Civalieri--Via Stazione e descrizione degli abitanti

Il tratto di strada statale in direzione Asti è Padana Ovest e abitavano: i Poncino, gli
 Stivanin, i Meda, i Cozzo, Bona Antonio, “papà di Beppe, colui che suonava il trombone e il tamburo nella banda musicale Quattordiese” e
 tanti altri .

COZZO

MEDA












Era la strada del “Càscinòt” così chiamata che iniziava in via Padana Ovest con un gruppo di case e cascine munite di stalle e conoscendo Cozzo Mario, agricoltore, uomo dal viso rubicondo, bonario e simpatico, io e mia sorella Polda entravamo nella stalla per vedere i piccoli “porcellini d’india”, sono porcellini nani, chiamati in dialetto “Prùnìn”, che correvano quà e là fra le zampe dei quadrupedi, 
nascondendosi  tra la paglia e il fieno alla nostra vista.


Cozzo Mario


Più avanti, dopo la salita, sulla sinistra c’è un grande cascinale chiamato “Rocca Civalieri” dalla struttura storica ed i resti del “Castello dei Civalieri” molto antico, oggi, sono entrambi di proprietà privata ed è circondata da molte terre, non l’ho mai visitato ma visto solo da lontano.

Rocca Civalieri-anni 2000'
 Padana Ovest-Stat. per Asti


Via Stazione, inizia  a metà circonvallazione fra via Mazzini ed Padana Ovest e s’incunea in linea retta toccando alcuni punti storici tra i quali il “settecentesco Palazzo Tapparone-Canefri”  dimora patrizia di antica origine nobiliare abitato allora da Giacomo Venezia e la moglie Bertoli Anna Maria, papà e mamma di Mario, Alberto, Sandro e Patrizia. 

Fu Sindaco di Quattordio per lunghi anni, uomo dal carattere forte e modesto, di limpidezza e bontà d’animo, scomparso nel 1973 a 65anni.


PALAZZO  TAPPARONE -CANEFRI
 

Anna Maria Bertoli




 

Mario-Alberto-Sandro-Patrizia
Mario-ALBERTO-Sandro








Venezia Giacomo








Una parte dell’edificio era adibito a “Circolo Aziendale”, gestito in quel periodo da “Nino il  Biondino”, Valente di cognome con l’anziana madre e a cavallo degli anni 1960/70, il locale era munito, oltre al Bar, di biliardo e la prima televisione in bianco e nero dotato solo di due canali!

 La Tv, è stata per noi ragazzini ed adulti un grande avvenimento, perché ha rispecchiato un pezzo del nostro vissuto, una storia di vita, nel 1956/57, era l’unica esistente in paese e tutte le sere la maggior parte degli abitanti con le nostre rispettive mamme, fratelli e sorelle, ci ritrovavamo come spettatori nelle prime file di sedie a seguire con attenzione e attrazione i primi programmi televisivi con una bella manciata di caramelle alla liquirizia da consumare nella serata, io, ne andavo ghiotto.
 
Battista Valente

TV in bianconero-anni50'








I programmi che seguivano, erano composti da alcuni filmati: da “RinTin-Tin” al “Musichiere di Mario Riva” lo seguiva a ruota il grande “Mike Bongiorno conduttore del Quiz Lascia o Raddoppia” ed il famoso Avvocato difensore “Perry Mason”, protagonista del triller giallo.
Ogni programma televisivo serale iniziava col rinomato “Carosello”, rubrica televisiva di pubblicità che andò in onda dal “3 Febbraio 1957 e terminò il 1/1/77”.
 

MIKE  BONGIORNO

MARIO  RIVA

Carosello-anni50'











Noi ragazzini eravamo felici ed un po’ interdetti, mentre il sipario si apriva a suon di trombe annunciando ed elencando i vari prodotti tra i quali, spiccavano: “la Brillantina Linetti con l’attore Ubaldo Lai, nella veste del Tenente Sheridan”, “Gino Bramieri che reclamizzava il prodotto plastificato Moplen”, ““Carmensita il Caffè
 Paulista”, “Ava come lava con Calimero, così sporco e così nero”, i “baci Perugina”, “il Cynar" con Ernesto Calindri” e tanti altri che ora non sto ad elencarli tutti.

tavolo da Biliardo-anni50'
CALIMERO












A 16anni, iniziai a giocare a “biliardo” con gli amici Carlo Vigato, Giuseppe Zallio, Domenico e tanti altri, a carte specialmente a “briscola in cinque”, in palio solo caramelle mai soldi e si trascorreva la serata al Circolo Aziendale tra esclamazioni di gioia, di parolacce, ilarità, ironie e qualche volta musi lunghi e arrabbiature per chi 
perdeva al gioco, ecco, queste erano le nostre reazioni giovanili assai contenute e nel rispetto reciproco. 

Carlo Vigato
Dome Damasio

Giuseppe Zallio

In futuro la televisione fu acquistata da tutte le famiglie Quattordiesi, ringraziando la tecnologia che continuava ad avanzare con passi da gigante, (ps: "l'inventore del primo telecomando tv senza fili e perfettamente funzionante, fu lo statunitense Robert Adler, che lo mise a punto nel'1956" adeguando i costi alla portata di tutti, riducendo in senso negativo i gruppi di coetanei e amici che pian piano si assottigliarono e ognuno di noi, ultimamente si ritrova a casa propria senza avere più relazioni di amicizia e anche di buon vicinato, che era il sale “del stare insieme”, della democrazia, della buona educazione tanto genuina e salutare e con l’avvento delle nuove generazioni e del progredire, questi valori  stanno scomparendo sempre più.

            
CAPITOLO  XXI°--Festa della Leva e descrizione del Circolo Aziendale

In questo locale nel 1967 abbiamo festeggiato la nostra "Leva del 1947”, ballando, brindando con tutti i compagni ed amici, maschi e femmine, e anche se eravamo pochi, circa una ventina, abbiamo innalzato i nostri calici per festeggiare e salutare i nostri primi 20anni che non torneranno più, mentre la nostra giovinezza col trascorrere del tempo svanirà e si tramuterà in un caro ricordo.


Festa della  Leva  1947'-Anni  '60


A pranzo per Festeggiare la nostra  Leva  1947'-Anni  '60



Festa dei '50Anni- Leva  1947'-Anni  2000'

L’entrata del Circolo Aziendale era occupato da un cortile inghiaiato e da un tavolo da ping-pong appoggiato sopra ad un pavimento piastrellato e noi ragazzi giocavamo al pomeriggio e alla sera durante il periodo estivo. 

Il cortile era cintato da un alto e poderoso muro sormontato dalla ringhiera di ferro che s’affacciava sulla statale, io e il mio amico Renato Barberis dotati di buona memoria, gareggiavamo a chi riusciva a memorizzare e contare più targhe d’automobili possibili che transitavano sul tratto asfaltato della statale.
 Circolo Aziendale-anni'2000

 tettoia"ping-pong"anni'2000









Di fronte all’edifico del Circolo Aziendale, sempre in via Stazione c’era un bel campo coltivato a grano con un grosso gelso, maestoso dal tronco assai robusto e di vecchia data ben radicato ai margini della strada e dopo qualche anno, su quest’area si creò un campo da bocce per gli appassionati e più tardi fu costruita la bella Villa del Dott. Codrino, titolare della Cavis,  ancora oggi, l’antico gelso non demorde, anzi è sempre più vitale, sembra che non invecchi mai e sta fisso lì come “custode del tempo che passa”.

entrata"Villa Codrino"

GELSO  di antica data


"Villa Codrino"

Lungo questa via abitano ancora i sig. Ponzano Dante e la moglie Linda
e subito dopo il cascinale nominato ”Ca-Magna (grande casa)" dimora della fam. Fava Felice agricoltore , dove spiccavano nel grande cortile  varie  attrezzature di campagna, ora non abitano più lì, ma in altro loco.

Dante Ponzano
FAVA Felice
cascina"Ca-Magna" vista dall'esterno

Sulla destra, si accede in via S. Sebastiano, una stradina ben asfaltata che corre parallela alla Villa del dott.Codrino e la bella Villa Patrizia del sig. Ponzano Pierino: il primo proprietario era il sig. Barberis Matteo “Managiu”, ex sindaco e fratello di Giuseppe “Pìpìn” e zio di Aldo.
La strada si perde tra agglomerati di case e villette ben curate e pulite, ornate da piante, fiori e aiuole ed è nominato "Villaggio dei Fiori".
 

via S.Sebastiano


"interno della cascina Ca-Magna"



 
VILLA  PONZANO




Ponzano Piero

















CAPITOLO  XXII°--Villaggio dei Fiori e descrizione dei vari personaggi--Stazione di Masio e fiume Tanaro con relative persone

 Vi abitano e abitavano, numerose famiglie fra le quali: Decarolis Giuseppe, ormai defunto detto “Pinotu”, col suo immancabile basco scuro calcato in testa, dalle folte sopraciglia  e dallo  sguardo un pò così,  il dott. Poggio ex sindaco di Quattordio, Fiori, Conti, Marchesi, Sillano, Torchio, Torti, Berruti, Cavallero, Ercole e altri ancora.
 
VILLAGGIO  dei  FIORI
Decarolis Beppe

 










Piero Torchio


C. Poggio 
FIORI

Tornando in via Stazione, dopo il casolare del coltivatore Fava Felice, spunta l’unica palazzina abitata dai sig. Bigliani, Lupano
Venturini, Sperandio e dirimpetto a loro, un po’ in basso verso la discesa, dimoravano le famiglie Traffano e Cozzo detto “Matalon”.

L. AVIDANO
SPERANDIO



BIGLIANI





COZZO-MADRE E FIGLIO












 




La famiglia Venturini, oltre ai genitori, era composta da cinque fratelli: Gerardo, Edda, Antonio, Albina e Pieroquest’ultimo era un bravo ragazzo, di qualche anno più di me, simpatico, allegro e gioviale.
Piero Venturini

ALBINA

A. Venturini







Mi ricordo delle sue scorribande con la sua mitica automobile “Mini Minor di colore grigio” per le vie del paese e dintorni, ma il destino avverso, spezzò la sua vita nel 1976 a 44anni. 
Mi piace ricordare il vivace ragazzone ”Gerardo”, ormai uomo di una certa età che con le sue gesta e prodezze, entusiasmò in quel periodo giovanile la vita quotidiana del paese. 
Fu una figura mitica, dalla vita avventurosa, estrosa ed un pò pazzesca quella di Gerardo Venturini. 
La sua vita fin da ragazzo fu sempre una sfida verso gli altri e verso se stesso, nè combinò di tutti i colori; arrivava rombante con la sua moto lanciata a più non posso, partendo dal “càscinòt”, giungendo in via Mazzini sfrecciando ad alta velocità davanti al Bar Sport di Pierino, dove noi ragazzi e adulti, guardavamo estasiati e trepidanti ma un pò interdetti quel pazzo ragazzo temerario, ma nello stesso tempo coraggioso che rischiava la vita, lanciandosi con ebbrezza e fierezza, rasentando la follia e la morte!

Inoltre, accettava scommesse dimostrando di correre a piedi nudi, partendo sempre dal “càscinòt”, giungendo al Bar Sport in un tempo prestabilito in partenza, tagliando il traguardo con piaghe ai piedi, muscoli delle gambe indolenziti e non parlando poi di capitomboli e bravate fra amici e scazzottate con ragazzi di altri paesi e tante altre vicende.
Gerardo Venturini

Nonostante tutto, il simpatico Gerardo è stato una leggenda e tutt’ora è ancora integro e vegeto, anche se ultimamente è soggetto a qualche malanno e lo ricordiamo così, perchè fu per noi adolescenti esempio di coraggio, forse un pò folle, che riuscì in quegli anni a rallegrare un pò la nostra gioventù .

via Stazione
Via Stazione è stata per noi Quattordiesi la via maestra di periferia molto importante, perché ci collegava alla piccola stazioncina Ferroviaria di Masio negli anni50/60, sperduta nella campagna, dislocata nelle vicinanze del fiume Tanaro, per utilizzare i treni, per studio o per lavoro che ci portavano ad Asti o Alessandria, percorrendo la strada a piedi o in bicicletta per circa 2km, ed era gestita dal  
Strada per   Staz. di Masio











capostazione Renzo Spinaci.



Capostazione SPINACI


i Ricordi Scorrono Su Questi Vecchi Binari

Quand’ero studente, sovente, percorrevo a piedi il tragitto e non avendo mezzi propri, qualcuno mi dava il passaggio sulla canna della bici guidata da un compagno, “buon samaritano” e col passare degli anni, la stazione cessò di funzionare, diventò burocraticamente un ramo secco, cessò di esistere.

 Questa strada ha la sua storia come tante altre, lungo questo serpente asfaltato, da bambino l’ho percorsa molte volte, specialmente nelle giornate estive molte afose di 50anni fa, di sabato pomeriggio o di domenica, per arrivare al fiume Tanaro per il bagno.
 
Fiume Tanaro-anni'2000
























un barcaiolo che solca il fiume TANARO

Con canottiera, zoccoli ai piedi, in compagnia di mia madre e le mie sorelle, c’incamminavamo verso le ore 14 per raggiungere il fiume, che scorreva pacifico e beato lambendo gli argini del paese Masio. 

Non vedevamo l’ora di essere là al più presto, mi sembrava, in quelle giornate assolate, di giungere al mare, che,  allora non lo avevo ancora visto, avevo circa 10anni.
WILLY-anni10
 
La spiaggia in riva al Tanaro, era sabbiosa e mista a limo, con tanti cespugli sparsi un po’ quà e là, alle nostre spalle un po’ di boscaglia, dove ci cambiavamo per metterci il costume, prima di tuffarci.

 Di gente c’è n’era sempre tanta, amici, coetanei, persone di altri paesi e l’acqua del fiume era limpida e trasparente, pulita e s’intravedeva il fondo, non inquinata mentre adesso è torbida. 

 
 Tanaro con spiaggia sulla riva sx-anni'50


coetanei  che prendono  IL  SOLE

Io, non ero un provetto nuotatore, perciò rimanevo vicino alla sponda, toccando sempre con i piedi il fondale, mentre, le mie sorelle, tra le quali Beatrice la più grande, era una buona nuotatrice e con gli amici attraversavano il fiume da una sponda all’altra.

L’acqua del fiume Tanaro, mi ha sempre fatto paura ed impressione per le forti correnti e mulinelli che si formavano nell’acqua alta e perciò faticavo rimanere a galla, mi sembrava che l’acqua fosse più pesante, in futuro imparai a nuotare al mare, per imprudenza, qualcuno in quel periodo annegò.


BEATRICE con le sorelle BILLI, DOLLI e amiche-anni'50


BEA sulla Spiaggia del TANARO anni-'50


LE SORELLE-  IO-  AL  TANARO-ANNI 50'


 Nel tardo pomeriggio, dopo estenuanti nuotate, stanchi e affamati, si ritornava, sempre a piedi al paese e lungo il ritorno, come prima tappa, ci fermavamo alla stazione ferroviaria a bere l’acqua fresca e pura che sgorgava dal rubinetto azionando una leva a mano. 

Un tempo non c'era l'acqua potabile dell'acquedotto, la maggior parte delle cascine circostanti, l'acqua veniva attinta dal pozzo che si trovava anteriormente o di fianco alla casa.

I contadini quando tornavano stanchi dai campi, la prima cosa che facevano, era attingere il secchio al pozzo che risaliva alla superficie sgocciolante  di acqua fresca, un'acqua che ristorava e bevendola avidamente quel liquido cristallino dal sapore indefinibile  ghiacciava i denti, la fatica scompariva, riacquistavi la forza, sembrava di ringiovanire. 

Ormai questi pozzi sono scomparsi, cioè non si utilizzano più, tanti li hanno chiusi e l'acqua col  passare del tempo non è più bevibile, purtroppo al giorno d'oggi, tra inquinamenti vari e pesticidi è molto pericoloso. 

Nella seconda tappa, ci fermavamo al casolare di campagna chiamato “Claro”, della famiglia Dalmazio Codrino detto “Macìn” e la moglie Angela Galanzino, possidenti terrieri e i salariati “Bucciol”, brava gente, gentili, onesta e di cuore, che ci offrivano la merenda con pane, burro e acciughe, per me, era una leccornìa e si tornava a casa esausti, ma allegri e felici di aver trascorso un bel pomeriggio al fiume Tanaro di Masio.

Codrino Dalmazio


Cascina "Claro"vista dall'esterno anni2000'

interno "cascina Claro"-anni50'

A. BUCCIOL








La strada asfaltata per Masio, 50anni fa, arrivava solo alla stazione e per andare oltre si percorrevano stradine sterrate per arrivare al fiume per bagnarsi e per pescare. 

Per introdursi nel paese di Masio, si utilizzava il famoso traghetto in legno, allora non esisteva ancora il ponte di collegamento e seguendo un piccolo sentiero che serpeggiava nella campagna, si sbucava nella postazione del suddetto mezzo di trasporto.


Traghetto sul fiume Tanaro con trasporto persone



Traghetto sul fiume Tanaro con trasporto animali


strada per Masio-anni'2000
ponte in cemento-anni'2000


Il ponte in cemento, lo costruirono negli anni ’60 e lo inaugurò il prof. Sisto, Presidente della Provincia di Alessandria e benedetto dal parroco di Masio Don Borio. 

In gioventù, mio fratello Guido che è più anziano di me, è del ‘1932, lui ed i suoi amici, quando si recavano alla festa di Masio e frequentavano le ragazze del posto, al ritorno sul traghetto, i ragazzi del luogo lanciavano pietre e sassi al loro indirizzo, come dire, “state attenti, alla prossima volta, non fatevi più vedere se no sono guai, perché ci fregate le nostre donne, erano assai gelosi ed invidiosi”.


  GUIDO con alcune AMICHE di MASIO-anni'50

 GUIDO con l'amica di MASIO (LORETTA) -anni50'




 
Piacentino G.














Lungo questo sentiero, abitava in una casa di campagna la famiglia Angelo Piacentino ed aveva una figlia di nome Giuseppina che per disgrazia annegò nel “lago di Ginevra" nel 1968, la conoscevo solo di vista. 

Il vicino di casa, era la famiglia Cassinelli: il padre Nicola, agricoltore, uomo simpatico, allegro, lo vedevo alla sera al Bar Sport di Pierino, giocare a carte, perì tragicamente sul lavoro nel 1974, ancora adesso, il figlio Giovanni, 
amico di gioventù, lavora e coltiva le sue terre aiutato dalla madre, donna molto dinamica e lavoratrice, tutta brava gente e molto operosa

Cassinelli NICOLA
GIOVANNI










A metà strada di via Stazione, proveniente da Quattordio, superato il primo ponticello, che sovrasta il Rio Tagliarolo, sulla destra, si biforca una stradina di campagna inghiaiata, che giunge a diverse cascine e casolari, sparsi lungo il tragitto. 


RIO  Tagliarolo 

CAPITOLO  XXIII°--Scampagnate  con  amici tra cascine-ruscelli e vari paesi con descrizione dei luoghi e persone 


Noi ragazzini, con gli amici e coetanei, in gruppo e con le nostre bici in po’ scassate,
si girovagava, tra le case di campagna e cascinali, avventurandoci tra boschi e sentieri nei pomeriggi estivi e quando si arrivava al Rio Gaminella, dopo lunghe pedalate e rincorse, gareggiando fra noi, sostavamo per bagnarci in mutande, addirittura anche nudi, all’ombra degli alberi che dominavano gli argini del ruscello. 

in campagna con le amiche
in campagna con amici








Damasio D-E.Fracchia-Zallioo G.






















Il livello dell’acqua era molto basso ed era limpida e trasparente, ci rinfrescavamo tra spruzzi e piccoli tuffi, guardandoci il pisello, mentre nell’aria, moltitudini di libellule si libravano meravigliose dai riflessi turchini, metallici, metallico e meccanico era il loro ronzio.

Rio Gaminella


Sorpassato il Rio Gaminella e seguendo la stradina di campagna, ci s’imbatteva nel casolare di Rabioglio Cesare e la moglie Annone. 

Il figlio Alfredo, era un uommolto spartano, mi sembra di ricordare che avesse nella casa come sedie e tavolo, delle balle di paglia, privo di luce elettrica, senza acqua, solo candele e lampada a petrolio, per lavarsi acqua di torrente e qualche vacca o vitello ultra magro a pascolare, gli tenevano compagnia. 

Un giorno, accadde un imprevisto tra il serio e il faceto, parlando delle mucche di Rabioglio, i  poveri bovini, cercando cibo pascolando nei campi altrui, finirono fra le rotaie della ferrovia di Masio, che è ad un tiro di schioppo dal suo casolare, le povere bestie, con la loro “flemma guardinga”, causarono la fermata del “rapido”in transito. 

La tecnologia moderna, dovette arrendersi alla “fanteria compatta dei quadrupedi scheletrici” del “peones Rabioglio, per invasione di campo”, ..pardon su rotaie”, procurando all'incredulo proprietario, fastidiosi iter burocratici e penali a non finire! 

Uomo che viveva allo stato brado come un "vecchio gaucho della pampas Argentina”, capelli lunghi, barba ispida e incolta, rughe di vecchia data solcavano il viso, nascondendo tra le pieghe, chissà quali storie e vicende vissute! 

Pantaloni di fustagno, un vecchia camicia, un paio di scarponi slacciati ai piedi senza calze, trascurato, trasandato e con la vecchia bici, una volta al mese si avventurava in paese per rifornirsi di petrolio alla bottega di Aldo Barberis e di grosse “grìssìè” di pane infilate in un grosso sacco sdrucito e qualche altro bene primario per nutrirsi che appoggiava tra la canna e il manubrio della sua bicicletta, ritornando con lente pedalate al freddo focolare di campagna. 

Uomo singolare che viveva a contatto con la natura e ai margini della società, tutto il resto era avvolto in un alone di mistero, qualcuno del paese, aveva accennato che era un uomo colto e che trascorse alcuni anni negli Stati Uniti D’America come prigioniero di guerra, imparando bene l’inglese, non so, se erano dicerie o fantasie di alcuni soggetti, era molto afferrato sulle leggi e norme del codice civile, addirittura li sapeva a memoria e lo consultava sovente, causate dalle sue magagne giudiziarie, dovute, credo, per mancate insolvenze tributarie e di altra natura.

 Salendo verso la collina, abitava in un vecchia cascina nominata “Curtasè”, Boccasso Carolina, mamma di Pietro ”Vacatreno” e “nonna” di Gianni e Teresio Stradella.


Boccasso C.
Era vestita di nero alla contadina, i capelli grigi spuntavano sotto al suo fazzoletto nero come copricapo, assai attiva nei lavori domestici e di campagna.

Nel cortile, razzolavano polli e galline, starnazzavano oche e anatre, correvano quà e là coniglietti e faraone, zampettavano in compagnia dei tacchini, i “Bibìn”, mentre il cane legato alla catena abbaiava a più non posso.



cascina"Curtasè"com'è oggi

 
Le nostre passeggiate ciclistiche rasentavano vecchie dimore di campagna,
 inoltrandoci ed avventurandocsempre più in nuovi sentieri ed oltre alle scorribande agreste, durante le Feste patronali estive che si susseguivano nei paesi limitrofi, tra cui: Piepasso, Viarigi, Refrancore, Accornero, Felizzano, Fubine, Solero, Rocchetta e Cerro Tanaro, noi ragazzi, sempre in gruppo e sempre in bici, si girovagava da un paese all’altro divertendoci sulle giostre, a sparare con la carabina ad aria compressa al banco del tirasegno e sgranocchiando dolciumi, ci godevamo la nostra età giovanile.

 
ROCCHETTA  TANARO

CERRO  TANARO








FELIZZANO
FUBINE












Le biciclette ai nostri tempi, erano gli unici mezzi di trasporto utili per muoversi, non come adesso, dove le nuove generazioni di giovani si muovono da un luogo all’altro con motorini e vespini all’ultimo grido, sconfinando da solitari o in branco in altri paesi e frazioni in breve tempo. 
 

STRADA  PER   PIEPASSO


Un avamposto che attirava l’attenzione, specialmente per me, era “La Ràtèla”, casolare di campagna presso ad un’altra cascina detta “La Trinchera”, situate sulle alture territoriali della fraz. Piepasso e si arrivava inforcando una stradina inghiaiata e sorpassando il ponticello sul Rio Chiesetta, s’iniziava la salita e si entrava nella casa di campagna, detta, appunto “la Ràtèla”, della fam. Pozzi Remo e Maria Lovisolo,  genitori dei fratelli Luigi e Oreste, care persone che io ho conosciuto, ormai scomparsi: il papà nell1989 e la mamma nel 2002.

cascina "RATELA"-fam.Pozzi
Lovisolo Maria

Pozzi Remo


ORESTE
LUIGI

Ricordo la loro bella cascina, solida, semplice, con un bel cortile, al centro 
un "carpino" che tutt'ora ha la sua bella età e qualche animale domestico, con un bel noccioleto sul retro e tutt’intorno campi coltivati e molta vegetazione, con qualche bosco nelle vicinanze, una dimora la loro a contatto con la natura.


"CARPINO" di ANTICA data

Esiste da quelle parti un “maniero o castello turrito medioevale”, nominato “Laione”, abbandonato, per lunghi anni e devastato, ultimamente è stato rinnovato, ed è abitato e adibito a ristorante, non ne conosco la storia, mi sembra di ricordare di averlo intravisto da lontano un giorno in compagnia di Oreste e compagni.

CASTELLO DI "LAIONE"-ANNI 50'




CAPITOLO  XXIV°--da Piepasso a Quattordio-descrizione di luoghi e di alcune persone--Fine della storia ricordando il passato citando per ultimo varie persone e personaggi di spicco.


Tornando verso Quattordio, dopo 1km da Piepasso, sul lato sx della strada, guardando verso l’alto, c’è un sentiero che sale e in cima si erge una bella villetta di campagna, chiamata “Fiscala”, il proprietario, era il sig. Barberis “Scarpetta”, oggi è del sig. Chiesa, il viale è alberato e tutt’intorno il terreno è ornato da una ricca pineta di circa duemila alberi piantati anni orsono. 

Ho voluto in questo spaccato Quattordiese, riandare con la memoria a ricordare e scavare nel passato la storia della nostra vita da quando siamo nati e vissuti in quel periodo della nostra infanzia e adolescenza in questo paese, che vuol dire ricongiungere il nostro trascorso col presente non dimenticando com'eravamo nel bene e nel male mentre il dopo e il futuro che verrà, sarà tutta un'altra storia! 

Con gratitudine, affetto e stima, vorrei ricordare e ringraziare i vecchi Quattordiesi volenterosi che aiutarono la nostra famiglia nei primi anni duri da quando ci stabilimmo a Quattordio e poi la mia generazione vissuta tra amici, compagni, coetanei nella più amichevole, gioiosa e genuina infanzia, adolescenza e da adulto, anche se talvolta non mancavano bisticci, baruffe e cose pazze ma sempre circoscritto nel nostro ambito!

I primi Quattordiesi erano infaticabili e onesti contadini e con l'avvento dell'industrie si trasformarono in operai, impiegati e dirigenti che seppero sviluppare e far grande, in un alone di benessere economico il nome del paese e delle famiglie.

 In un secondo tempo, il guscio protettivo del vivere internos si ruppe, quando iniziarono ad arrivare le prime famiglie meridionali, provenienti da ogni angolo del sud, richieste per lo sviluppo della Fiat, dando origine al boom economico degli anni 60/70. 

Le famiglie venete c'erano già e lavoravano nelle vesti di fattori e salariati in aziende agricole e man mano anche loro traslarono nelle rispettive fabbriche, dando il loro contributo e tra i meridionali arrivati, mi ricordo del bravo e simpatico napoletano Franco Volpe e di alcuni suoi amici e parenti. 




FRANCO  VOLPE

Subentrarono poi, i siciliani, i calabresi, i sardi, i napoletani e tanti altri, arrivavano con una vecchia valigia e poche cose, ma ricchi di sogni e di speranze, per poter prosperare ed iniziare una vita migliore, come fecero i miei familiari quando arrivarono alla fine di una guerra disastrosa e tragica.

 Le nostre idee, le nostre impressioni, il nostro vivere e il nostro comportarsi, non rimasero più prigionieri del nostro io, ma, cominciarono a mescolarsi e confrontarsi con altre persone, con i ragazzi della nostra età venuti da lontano e l’integrazione fra i popoli delle nostre regioni iniziò a prendere piede.

 Ricordo ancora, con affetto e piacere alcuni miei amici e coetanei d’infanzia, compagni di giochi e avventure, diurne e notturne che mi accompagnarono lungo la parabola della mia esistenza giovanile, tra i quali con simpatia: Zallio Giuseppe, Damasio Domenico, Vigato Giancarlo, Barberis Renato, Fracchia Elio, Pozzi Oreste, Tedeschi Gianni, Barberis Teresio, Bona Giuseppe, Frezzato Fiorito e Bernardo, Cassinelli Giovanni, Maccarone Vittorio, Calligaris Giampaolo e Marchese Mauro, Cordero Franco. e altri ancora e perciò, con commozione, vi saluto, vi ringrazio e vi auguro lunga vita. 

Con simpatia e affetto, cito, alcune figure caratteristiche del paese, che frequentavano assiduamente il Bar Sport, tra i quali: “Bava Giuseppe”, il belloccio dell’ambiente, sempre ordinato e azzimato, capelli impomatati, baffetti allo sparviero, spuntati alla Clarke Gable,
BAVA G.

sorriso smagliante a trentadue denti, l’immancabile bicilcletta alla mano, fischiettando, canticchiando e pronto al saluto, sigaretta fra le dita, sorseggiava il suo caffè con qualche battuta, sempre sorridente, forse, si credeva un “Latin lover”, ai posteri l’ardua sentenza, scomparso nel ‘2004.

Sillano Egidio”, piccolo di statura, anche lui, sempre attaccato alla sua bici e sigaretta fra le labbra, immancabilmente arrivava al Bar Sport per il suo caffè, qualche battuta in dialetto e via, questo era il suo iter di vita, scomparso nel 1996.“
 



Sillano Egidio



Carlo Vene
zia detto “Carlon”, figlio di Giovanni Venezia, il “Maresciallo Bombarda”, era grande e grosso, forza inconsapevole, mentalmente bambino e un po’ pauroso, quando era oggetto di scherzi da parte nostra, scomparso nel 2006.

Carlo Venezia

“Capra Pietro”, detto “Pidinu “, dal carattere allegro, simpatico, ciarliero, vocifero nel giocare a carte, era una macchietta a vederlo e sentirlo a parlare al tavolo con i suoi amici durante il gioco tra esclamazioni, invettive, era esilarante nell’ascoltarlo, scomparso nel 1982.




CAPRA  PIETRO

“Ercole Domenico” detto “Mimmi”, faceva parte della banda musicale del paese, “suonava la tromba”, nonostante la menomazione al braccio, era allegro, gioviale e simpatico con qualche bicchiere di vino in più, scomparso nel 1993.
Ercole Domenico

Faldella Giuseppe”, papà di Giovanni, Gino e Franco, un omone grande e grosso, “mediatore di paglia”, tramite la sua forza muscolare, saltuariamente aiutava a caricare e scaricare balle di paglia col suo uncino a portata di mano, gran giocatore di carte a briscola in cinque al Circolo Aziendale e “gran pescatore”, ritornando a casa col suo motorino dal fiume Tanaro, sempre col cestino colmo di pesci, scomparso nel 1985

 
FALDELLA G.

Elencando i profili di queste care persone, ho voluto ricordare un periodo della nostra piccola storia, vissuta tra le mura di questi locali, osservando e ascoltando, imparando a convivere con i nostri compaesani anche se tanti di loro, erano più adulti di me. 

Il periodo della mia esistenza e vissuto Quattordiese, trascorso con voi cari concittadini è iniziata con la mia infanzia, salendo poi col passare degli anni alla maggior età, per prendere il volo per un’altra nuova vita, vivendola altrove con la mia nuova famiglia, ma le radici del passato trascorso con voi cari anziani, amici e coetanei, saranno sempre radicati in me, nel mio cuore e con ricordo perenne, farete sempre parte della mia esistenza terrena!

       NB: " questo racconto è sempre in fase di aggiornamentoperchè è una storia infinita del nostro passato!"  


                                                       Con  stima,  simpatia  e  affetto
                                                      Antonio -willy